SINDONE E VANGELI
Di Giuseppe Ghiberti • Biblista. Presidente della Commissione Diocesana per la Sindone dell'Arcidiocesi di Torino
Nel tentativo di descrivere il rapporto che corre tra la realtà sindonica e i racconti evangelici in riferimento alla fase conci usi va della vita di Gesù di Nazaret, iniziamo da quanto è <<narrato» dalla Sindone, per mettere poi a confronto questo <<racconto per immagine» con quello letterario dei vangeli canonici. Altri vangeli offrono talora ulteriori notizie, ma l'informazione che offrono per il nostro scopo è praticamente nulla. A scanso di equivoci chiariamo subito la natura esclusivamente storico-letteraria dell'inchiesta, anche se a ulteriori risvolti vitali potremo fare cenno i n appendice. Una breve introduzione si propone di mettere a fuoco la problematica.
La realtà e la problematica sindonica La Sindone è un telo di misura singolare: m. 4,42 ca. di lunghezza e m. 1,13 ca. di altezza1. Il telo è lino antico, con tessitura particolarmente pregiata e singolare, che chiamano <<a spina di pesce»2• Su tutta la lunghezza del telo è visibile una figura, rappresentante un uomo sicuramente morto e riportante i segni di gravissime torture. Qyesta persona ha lasciato un'impronta di spalle, dorsale, e una frontale, dovute al fatto che il cadavere fu depositato sulla prima parte del telo, che poi gli fu fatto girare dietro il capo e riportato davanti fino a ricoprire tutto il corpo. l segni dei piedi del morto si vedono alle due estremità del telo: nella figura dorsale si individuano i talloni, in quella frontale si indovina la punta dei piedi. Al centro del telo le due visioni del capo: nella figura dorsale, la nuca, in quella frontale il volto; al vertice del capo si nota uno stacco di immagine (totalmente assente) di una dozzina di centimetri.
La figura è frutto di una proiezione ortogonale dal corpo al telo, cosa che rende assai difficile immaginare il rapporto tra il corpo e il telo stesso, perché è quasi impossibile pensare che sia stata assente qualsiasi forma di avvolgimento del corpo da parte del telo: ma questo porterebbe un contatto diverso tra corpo e telo e darebbe origine a una proiezione almeno parzialmente cilindrica. È solo uno degli aspetti misteriosi del reperto. La figura ha colore uniforme, con diversa intensità, ed è stato constatato che non porta un colore diverso da quello dello sfondo bensì solo un più forte iscurimento delle fibrille superiori della superficie del filo di lino. Fanno eccezione numerose macchie dalla tonalità di un rosso vivo particolare, che viene spontaneo interpretare come macchie di sangue. Gli scienziati poi confermeranno che quella è di fatto la loro provenienza. Qgesta realtà è oggetto di eccezionale interesse e di discussioni che per un verso tengono desta l'attenzione sulla sua presenza, ma per altro verso disturbano il clima di serenità nel trattare di essa. Un fatto si impone all'attenzione: l'unicità dell'oggetto, di cui non si conosce alcun altro esemplare che gli sia veramente paragonabile. Maggiore interesse ancora suscita la storia che è in qualche modo <<narrata» da quell'immagine e che l'ha causata. Su questa realtà singolare sorgono molte domande, a partire dal significato di quella <<storia» che è sottesa all'immagine sindonica. Con buona certezza si può dire che essa presenta la conclusione di una pena capitale eseguita con la crocifissione. Una domanda spontanea sarà allora riferita all'identità della persona che ha subito quella pena. La risposta è guardinga: il crocifisso è uno come Gesù, partendo dalle osservazioni su cui tornerò. Dibattutissima è invece la questione dell'età del telo sindonico,
per la presenza di argomenti di segno opposto, in favore gli uni e contrari gli altri a una datazione risalente all'epoca romana. ()gestione madre, per la ricerca scientifica, è quella della modalità e del procedimento da cui ha avuto origine l'immagine: si deve serenamente affermare che a tutt'oggi nessuno scienziato serio si azzarda ad affermare di avere trovato la risposta adeguata a questo interrogativo; quel che sarà in prosieguo di tempo non ci è dato sapere. Di altra natura sono le domande che si portano sulla realtà <<religiosa» del reperto: perché esso è diventato oggetto di culto (che intanto si precisa come culto di venerazione e non di adorazione)? Siccome questo culto è proposto dalla Chiesa cattolica, la domanda si specifica oggi circa l'atteggiamento della Chiesa (che giunge a proporre, anche nel nostro tempo, l'astensione solenne della Sindone) nei confronti di questa realtà. Dalle autorità della Chiesa è dato udire una risposta articolata. Per alcune domande la Chiesa si dichiara incompetente, perché non appartengono al deposito della rivelazione cristiana: si tratta della questione dell'età del telo sindonico e quindi del punto di partenza per la formazione dell'immagine; altrettanto incompetente è la Chiesa sul problema delle modalità di formazione dell'immagine. Diverso è l'atteggiamento nei confronti di una constatazione che precede ed è indipendente dalla ricerca scientifica vera e propria: quando si conosca qualcosa della vicenda evangelica presentata nei racconti della passione, morte e sepoltura di Gesù, si avverte spontaneamente un rapporto tra la <<storia per immagini» presente sul telo sindonico e la storia letteraria riportata dai vangeli circa le ultime vicende della vita di Gesù. La natura di tale costatazione e del sentimento che ne sorge (comunemente lo si chiama <<devozione») dà a questo sentimento il carattere di natura prescientifica, rendendolo autonomo dai procedimenti scientifici di una ricerca che pure ha la sua dignità e necessità. Questa autonomia si estende alle conseguenze che possono trarre quanti si affacciano alla realtà sindonica e all'impegno di <<sfruttamento pastorale» che di conseguenza se ne può programmare.
(crocifissione, particolarel. Beato Angelico. Armadio degli Agenti, Firenze, Museo San Marco. © Archivio Eliedici / Guernno Pela
Il racconto sindonico La Sindone è, a modo suo, un racconto. Vi si rispecchia una vicenda, che parte da una tortura, conclusa dalla morte del soggetto, seguita dalla sua sepoltura. La crocifissione. Il nostro immaginario è limitato a secoli di tradizione iconografica che rappresenta la crocifissione di Gesù e che si ispira a una delle possibili interpretazioni dei particolari evangelici. Studi recenti hanno ripreso questa problematica, interrogando sia la testimonianza letteraria sia quella archeologi
ca4• Si trattava sempre di una sospensione del condannato, che avveniva in vari modi. Tipica quella a braccia allargate, fissate o a un palo trasversale o agli stipiti o all'architrave di una porta. La fissazione avveniva tramite corde o chiodi. La Sindone ci parla di una sospensione a braccia allargate e fissate tramite chiodi. Un solo chiodo ha fissato anche i piedi, uno sull'altro. Alla pena di base si aggiunsero una flagellazione devastante e vari tipi di battiture e di oltraggi: al capo e sul volto, aggravati da oltraggi supplementari, come l'imposizione di una specie di casco di spine sul capo. Inoltre l'uomo è seppellito nudo, come probabilmente era stato esposto in croce. Gli oltraggi verbali che accompagnavano l'esecuzione non possono evidentemente essere registrati sul telo sindonico. La morte è stata reale, non apparente. Lo dimostra la rigidità del cadavere, evidente per la posizione del collo (invisibile davanti e molto prolungato nella parte dorsale, segno che nella posizione del sepolcro aveva impedito al capo di raggiungere il piano sottostante ), la diversa lunghezza delle gambe (perché il ritorno nella posizione originale dopo l'asportazione del chiodo non aveva potuto avvenire completamente), la durezza dei muscoli delle cosce (tipica del periodo successivo di alcune ore alla morte e precedente l'inizio della decomposizione) e la gravità delle torture subite, incompatibile col perdurare della condizione di vita. Le cause della morte vengono indicate variamente dai medici legali e per lo più si parla di un processo di soffocamento dovuto alla posizione della sospensioné, di un collasso di vario tipo, di tetano, di infarto. È probabile che siano intervenute più cause. La sepoltura sembra essere stata abbastanza accurata. Il cadavere staccato dalla croce deve essere stato trasportato a un luogo che offriva un piano sufficiente per stendervi il telo (molto particolare) nella sua prima metà. Su di esso fu deposto il cadavere in posizione supina, con la schiena adagiata sul telo; la seconda metà del telo fu tirata su dietro il capo e fatta correre davanti al cadavere, in modo da coprirlo fino ai piedi. La presenza di un tale tela sepolcrale è assai insolita e non è chiaramente documentabile dalle scarne notizie pervenuteci sulle modalità di sepolture antiche. Il dato archeologico è di scarso aiuto, perché le sepolture antiche, tranne che in Egitto, non off rono significativi materiali di confronto: la decomposizione coinvolge anche gli indumenti mortuari. Chiara è comunque sul tela sindonico la totale assenza di segni di decomposizione cadaverica, a testimonianza di un contatto tra il cadavere e il tela assai limitato nel tempo. Assolutamente eccezionale è sul tela sepolcrale la presenza dell'immagine, di cui si è detto, caratterizzata da un colore assolutamente uniforme, interrotto solo dalla presenza delle macchie nella tonalità del rosso. Tali macchie sono testimoni di gravi ferite inferte al condannato prima e dopo la morte (dalla ferita al petto è sgorgato sangue postmortale, che suscita domande). Il sangue deve aver aderito al te lo e formato croste rigide, ma nella successiva separazione del cadavere lo stacco da quelle croste non ha prodotto alcun segno di abrasione (altro motivo di sorpresa). L'immagine del crocifisso è segno di una persona di grandezza un po' superiore alla media, almeno per i parametri di secoli lontani da noi, ed è caratterizzata da una compostezza solenne, con un volto veramente maestatico e bello, nella sua serenità silente.
CO/v\PIANTO SUL CRISTO MORTO Beato Angelico. Firenze. Museo San Maleo. ©Archivio Elledici / Guerrino Pea
È spontanea la domanda circa l'identità del personaggio che è stato protagonista di quella dolorosa vicenda. La ricerca sulla documentazione letteraria di crocifissioni lungo i secoli non dà risultati utili, tranne che nel caso del racconto evangelico della fase finale della vita di Gesù.
Il racconto evangelico La Sindone ha il nome dal vangelo6: ma solo il nome? È possibile fare la verifica applicando lo schema che guidava la descrizione del dato sindonico al racconto evangelico della passione, morte e sepoltura di Gesù. Anche i vangeli presentano il racconto di una tortura, di una morte e di una sepoltura, dandoci evidentemente nome e caratteristiche del protagonista. La tortura subita da Gesù è consistita in tutte le percosse ricevute dal momento dell'arresto a quello dei vari procedimenti giudiziari fino alla crocifissione. Il corpo è stato colpito da battiture sul volto, aggravate da insulti e sputi, da colpi sul capo, dalla <<corona di spine>); inoltre fu flagellato, secondo l'uso romano e dunque probabilmente senza il limite dei quaranta colpi meno uno imposto dalla legge giudaica (cf 2 C or 11,24 e D t 25,3 ). Dopo la condanna portò la croce fino al luogo del supplizio (anche se aiutato da Simone di Ci rene). Giunto al Calvario, fu crocifisso e particolari successivi parlano esplicitamente dell'uso dei chiodi ( Gv 20,25 in bocca a Tommaso; lo fanno capire anche le dichiarazioni di Le 24,39 <<vedete le mie mani e i miei piedi))). Di qui inizia l'agonia e la successiva conclusione nella morte. Di tutte queste torture la descrizione è riassuntiva e limitata alla terminologia di minima, senza richiami a particolari né sottolineature sia pur vagamente parte ci pative o emotive. Segue poi il colpo di lancia al petto di Gesù ancora in croce ma già morto. La morte è riportata senza cenni allo strazio dell'agonia. In compenso i racconti evangelici aprono uno spiraglio sui sentimenti di Gesù agonizzante: la devozione cristiana li ha poi fissati col ricordo delle <<sette parole)) di Gesù in croce, che dà senso con esse a quanto sta accadendo: abbandono al Padre, perdono al peccatore, preoccupazione per la comunità dei discepoli. La sepoltura segue una procedura inattesa e dignitosissima: viene richiesto e ottenuto il cadavere del crocifisso e lo si depone dalla croce, vengono usa ti panni funebri e per la preparazione del cadavere si parla di unguenti, anche se i sinottici farebbero pensare a un loro uso non immediato bensì da rimandare a un tempo successivo al riposo del sabato, mentre Giovanni fa pensare a un uso immediato con quanto è portato da Nicodemo. Non vi è cenno a uso di acqua per la lavatura del cadavere (spiegabile forse per l'incombere del riposo sabbatico e per la scarsità o assenza di acqua sul posto). Sulle caratteristiche del sepolcro dai vangeli si ricava solo l'informazione circa la presenza di una pietra di chiusura e la possibilità di entrare, che fa pensare a un sepolcro a camera e non a pozzo e tanto meno a fwchim; Giovanni riferisce che Maria Maddalena <<vide due angeli in bianche vesti seduti uno dalla parte del capo e uno dalla parte dei piedi dove era stato posto il corpo di Gesù)) (20,13), il che fa pensare che la camera mortuaria fosse spaziosa e forse addirittura che il piano sepolcrale fosse sovrastato dall'arcosolio.
Per un giudizio di compatibilità Dall'elencazione dei punti simili fra i due racconti, sindonico ed evangelico, si potrebbe pensare a una tale somiglianza tra i due complessi che il giudizio di identità non dovrebbe essere ritenuto gratuito. In realtà restano da fare importanti verifiche su due elementi: il tipo di avvolgimento del cadavere nella descrizione evangelica e nel dato sindonico e la descrizione evangelica dei panni funebri confrontata con il dato sindonico. L'avvolgimento del cadavere è descritto in modo diverso dai sinottici e da Giovanni. l primi parlano di avvolgimento, con due verbi dal valore simile: entylisso ed eneileo. Il modo dell'avvolgimento però non è detto e, anche se istintivamente non si pensa al modo ridotto dell'avvolgimento presente nella Sindone (limitato al risvolto dietro il capo), non è però impossibile farlo entrare in questa descrizione. Giovanni usa invece il verbo deo, che dice primariamente legare e significati analoghi, come imprigionare. Procedendo dal secondo significato, viene suggerito di interpretare questo verbo come espressione di un esercizio di potere violento della morte nei confronti di Gesù, che poi nella risurrezione scioglierà i legami della morte che lo tenevano avvinto. Ma è necessario passare all'indicazione dei panni funebri, che ci interessano maggiormente. I panni funebri sono essi pure descritti diversamente neisinottici e nel quarto vangelo. I primi parlano solo di sindòn, mentre Giovanni usa qui il termine othonia esoudarion,e nella narrazione della risurrezione di Lazzaro parla di mani e piedi legati (sempre il verbo deo) con legacci (f'eiriai) e del voi to legato attorno (perideo) con un suda rio( soudmion).Sindondice un te! o perlo più di lino, che può essere ancora in pezza oppure già preparato per l'uso; soudarion non conserva più il rimando originale al sudore (caso curioso di cammino all'indietro: dal latino al greco e forse all'aramaico e all'ebraico) per diventare pezzo di stoffa di varia grandezza e per vari usi ( c[Lc19,20;At 19,12). Problematico non èsindon e di per sé neppure soudarion, che va interpretato probabilmente come mentoniera. Diversa è la situazione di othonia, plurale diminutivo di othone. Se si ritiene che sia rimasto il senso del diminutivo, si deve mantenere la versione di <<bende», come in più di una versione attuale: c( vecchia CEI <<bende» e anche il tedesco (Einheitsubersetzung) <<Binden». Ma nella fwiné della Bibbia greca (i LXX e il NT)la forma diminutiva si è uniformata al significato della forma semplice,dimenticando la differenza. Si giustifica così la mutazione nella nuova CEI che traduce <<teli». Meno semplice è il problema della forma plurale, quando si voglia ipotizzare che sotto quel termine si nasconda la realtà dellaSindone,cheplurale non è. Un possibile orientamento giunge dal modo con cui apparivano i teli alla vista di chi li trovò giacenti nel sepolcro: se Gesù vi fosse stato awolto (veramente Giovanni dice legato) al modo che si intravede nella Sindone, dopo la risurrezione il visitatore avrebbe visto il telo di sopra e quello di sotto, privi della loro <<preda», in una
apparente pluralità. Il sud ari o potrebbe anche essere stato piegato, o arrotolato, e usato attorno al volto, con funzione di mentoniera, e così non sarebbe stato frapposto tra il volto e la Sindo ne. Mi sembra di poter concludere che l'uso dell'espressione <<awolgere in una sin d o ne>> può anche spiegare quanto vediamo oggi nel nostro lenzuolo sindonico: un te lo di quella forma, usato in quel modo.
Un'altra chiave interpretativa? In realtà è dominante l'impressione che a Giovanni stesse assai più a cuore descrivere il procedimento della sepoltura dalla prospettiva dell'esperienza dei testimoni del sepolcro vuoto che da quella del trattamento obiettivamente riservato al cadavere stesso di Gesù, perché quella interessa ancora il lettore di oggi, mentre questa può anche avere perso, nel ricordo, qualche contorno. La pluralità degli indumenti funebri, che avevano avuto funzione di veri legami, causa dell'immobilità e impotenza di quel corpo, è ora essa stessa ridotta all'impotenza e semplicemente <<giace>>, privata della sua preda. Il sudario, che aveva avuto un qualche rapporto con il capo di Gesù, è awolto, fatto su con ordine, si direbbe da una mano che padroneggia la situazione. Non c'è solo l'intenzione di dire che l'assenza del cadavere non ha origine da un furto, che lascerebbe tutto in disordine, bensì ancora più di affermare la presenza di un atto di potere sovrano esercitato da parte di una vita ritrovata. Forse, nella linea del simbolismo, il testo giovanneo offre ancora altri spunti, almeno se si vuole dare ascolto alla lettura che commentatori antichi e recenti ne hanno fatta. Ad esempio, l'abbandono degli abiti da parte di colui che nella risurrezione ha riconquistato per l'umanità (perché per sé non ne aveva bisogno) l'equilibrio della condizione originale (quella dell'Eden), quando il corpo non suscitava sentimento di vergogna; oppure la deposizione del sudario da parte di colui che (come Mosè durante la traversata del deserto) se ne copriva il volto nel tempo in cui non parlava con Dio del popolo o con il popolo di Dio (interruzione provocata dal periodo del dominio della morte), ma ora, che in conseguenza della risurrezione riprende il discorso con il Padre e guida il flusso di rivelazione agli uomini, non ha più motivo di tenerlo sul capo. Resta naturalmente la domanda sul rapporto che lega il simbolo alla struttura narra ti va che lo suggerisce. Il simbolo non annulla l'intenzionalità storiografìca del racconto, a volte anzi la accentua, tanto più in quanto l'efficacia del suo valore simbolico possa dipendere dalla fattualità di quel che si racconta. Certo, però, il simbolo aiuta anche a orientare l'interpretazione nel senso dell'intenzione che si vede maggiormente interessare all'autore.
AWOLGIMENTO DELLA SINDONE SU LLASALMA Girolamo della Rovere, 1561-1627. ©Archivio Elledici
La cosa per Giovanni può suggerire che il racconto contenga aspetti di comunicazione episodica primaria, che descrivono ciò che avvenne e il modo in cui avvenne, e altri che sono invece solo funzionali al messaggio legato al simbolo. Certo la difficoltà inizia quando si scende all'applicazione concreta. La mia ipotesi suggerisce, ad esempio, che al plurale di oth6nia non sia da dare un peso di specifica consapevolezza, data la possibilità che per Giovanni la descrizione della sepoltura di Gesù potesse essere fatta secondo i parametri della convenzionalità generica, messa a servizio di un ricordo che nei particolari poteva essere divenuto approssimativo. Non mi sembra che questa proposta sia di comodo, perché i segni della non totale intenzionalità storiografìca di Giovanni sono evidenti già quando si metta a confronto la sua descrizione con quella dei sinottici. Qyale rapporto, infatti, può passare tra l'involgimento in una sind6n e l'essere legato in più oth6nia, a cui è da aggiungere ancora almeno il soudarion (se non anche le f<eiriai)? Non è il caso di parlare di contraddizione, ma neppure di piena componibilità: ciò che conferma allora la presenza di una certa approssimazione, a cui corrisponde una certa imprecisione. Detto questo, resta vero che-tra i sinottici e Giovanni-è attestata una costante in favore di un certo avvolgimento del cadavere d i Gesù per la sepoltura. Sarà sempre difficile immaginarlo in concreto, perché a questo punto si arresta l'intenzione comunicativa dell'autore. Se sulla scia di Giovanni si debba ipotizzare l'aggiunta di qualche capo sottaciuto dai sinottici non saprei né affermarlo né negarlo: che per il trasporto del cadavere nel breve tragitto fino al sepolcro potessero venire impiegate cose analoghe ai legacci o f<eirfai, per mantenere vicini piedi e mani, è forse ipotesi accettabile. L'analisi proposta fa pensare che la rappresentazione che i vangeli trasmettono della sepoltura di Gesù non sia molto omogenea. Probabilmente essa si regge su due tradizioni, che hanno i loro punti di forza nei vangeli di Marco e Matteo8 da una parte e di Giovanni dall'altra e un punto di incontro -a conferma di altri numerosi fenomeni analoghi- in Luca. Le due tradizioni non sono in contrasto tra di loro, ma immaginano il procedimento in modo un po' differente (non soltanto per l'impiego degli indumenti funebri). Esse poi continueranno a esercitare il loro influsso diversificato nei vari racconti della scoperta del sepolcro vuoto. Un tentativo di condurle a una concordanza perfetta non è produttivo, perché verrebbe a rompere le prospettive diverse che le ispirano e giungerebbe a suggerire intenzioni storiografiche anche là dove esse non sono affatto sicure. Dagli elementi probabili per una ricostruzione del procedimento della sepoltura di Gesù possiamo pensare che la narrazione sinottica presenta meno difficoltà per la spiegazione <<n a tura le>> della Sindone che quella giovannea. Sulla narrazione giovannea pesano tutte le incertezze interpretative di cui abbiamo fatto cenno. Se si accolgono i rilievi della lettura simbolica e dei condizionamenti che possono essere stati esercitati sull'intenzionalità
storiografica di molti particolari giovannei, anche nel quadro del racconto del quarto Vangelo la spiegazione <<naturale» dell'eventuale formazione dell'immagine sindonica potrebbe divenire possibile. Ne seguirebbe che le divergenze fra Giovanni e i sinottici non sarebbero da leggere col valore di informazioni episodiche.
Al di là della discussione esegetica Che cosa è possibile conclude_re da questa rassegna su Sindone e vangeli? E stata acquisita una consapevolezza riflessa del fatto che la Sindone ha un rapporto, almeno di fatto, visivo, con i vangeli. Non sono ancora note molte cose, ma ci si rende conto che è giustificato chiamare la Sindone-come ha fatto nella sua visita, nel1998, Giovanni Paolo Il - <<specchio del vangelo». Prima ancora della conclusione dell'indagine esegetica (e, più ancora, di ogni altra indagine) la Sindone assume la funzione di segno, che esercita un rimando spontaneo allo stesso evento, mistero, dei vangeli. Non sarà arbitrario o illusorio pertanto accogliere l'esperienza di chi afferma che attraverso la Sindone sente Gesù che gli parla. Verranno ancora molte domande (in particolare sul come e quando dell'origine di questo reperto), ma intanto (prima l) è stato acquisito un rapporto di coinvolgimento di vita, che nessun referto successivo potrà scalfire. Che questo rapporto di vita voglia essere onorato è un'ulteriore conseguenza, che si presenta a chi ne ha avuto sentore.