IMMAGINI DI CRISTO «NON FATTE DA MANI D'UOMO»


Di Raffaella Bertazzoli

 

 

A cheiropoieton è il termine greco con cui si definiscono le prime immagini di Cristo. <<Non fatto da mano d'uomo)) vuole contrapporre queste immagini agli idoli, che sono invece <<fatti da mano d'uomo)) ( cheiropoieta), come denunciano i salmi 115,4 (gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo) e 135, 15, (gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera dellemani dell'uomo) e come vieta Esodo, 20,4 (Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra) Il Dio cristiano però si è incarnato in Gesù (E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, Gv 1,14), assumendo natura umana. Anche il contesto dei vangeli di Marco, 14,58 e di Giovanni, 2,21, in cui Gesù parla della ricostruzione del Tempio, cioè del suo corpo, in tre giorni, è testimonianza inconfutabile dell'incarnazione di Dio: poiché Dio ha assunto natura umana, noi possiamo allora rappresentarlo, il divieto dell'Esodo cade. Ma quale rappresentazione? Troppo idolatrico immaginare, anche in un'arte che tende all'astrazione come quella del mondo ellenistico-romano nei primi secoli dell'era volgare, una libertà degli artisti di creare a loro estro (cioè <<con le loro mani))) un'immagine di Cristo. Bisogna dunque collegarsi ad un originale acheiropoieton, soprattutto perché questa affermazione dell'amore greco per le immagini non fu priva di contrasti e accuse di idolatria, sino a pervenire a una <<crisi iconoclasta>>, un rigurgito di aniconismo scatenato dagli imperatori Isaurici nella prima metà del secolo VIII; nel 787, una prima, temporanea vittoria sull'iconoclastia, nel VII Concilio ecumenico, riaffermò la liceità delle immagini, e scelse, per celebrare la festa dell'Ortodossia (cioè della vittoria delle sacre immagini), proprio un' icona acheiropoieta, quella <<di Ed essa>>.

 

 

Il «mandilion»

 

L'immagine di Edessa, (attuale Urfa, in Turchia), è l'acheiropoieta più famosa, legata alla storia di re Abgar, narrata già nel IV secolo da Eu se bio di Cesarea ( Hist. EccL ). La leggenda prese però corpo nella seconda metà del VI secolo, e racconta che Abgar, re di Edessa, malato di lebbra, avrebbe mandato un suo emissario a Gesù chiedendogli di andare a guarirlo, se non di persona, almeno inviandogli un suo ritratto (nell'epoca in cui si fissa la leggenda il ritratto equivale alla presenza del personaggio rappresentato, come codificato nel diritto romano); ma il pittore mandato a Gesù non riuscì a ritrarlo, e allora Gesù si lavò il viso e, asciugandosi, lasciò impressa la sua immagine sulla tela (mandilion indica l'asciugamano che l'ospite riceveva al banchetto; in greco mandelion o mandulion, in arabo mandil o mendil, in latino ha a che fare con manus tergens ); Gesù mandò quindi al re questo ritratto, che lo guarì. Lo storico Evagrio (Hist. eccL) poco dopo il 593, menziona l'immagine acheiropoieta di Cristo attribuendo la vittoria dei cristiani sui Persiani a questa preziosa reliquia, che era stata murata sulla porta della città di Edessa.

 

Essa rimase oggetto di culto sul luogo sino al 944, quando venne portata trionfalmente a Costantinopoli sotto gli imperatori Romano I e Costantino VII. Il mandilion venne accolto con grande solennità e collocato nella sala di udienza degli imperatori, con il ruolo di palladium (immagine che protegge la città). Il prezioso mandilion, simbolo allo stesso tempo dell'Incarnazione e dell'Eucaristia, che era stato fissato su un pannello, era difficilmente visibile, per cui le sue molte riproduzioni pare fossero abbastanza diverse tra loro. Sembra che le più antiche rappresentassero Gesù con gli occhi aperti, come nella tipologia del Pantocratore, mentre in seguito l'immagine fu anche quella del Cristo morto, o comunque con il viso contrassegnato dalle torture. Dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati nel1204 del mandilion di Edessa si perse traccia, ma a Genova, nella piccola chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni, un velo, lì collocato dal XIV secolo, rivendica di essere quella reliquia, mentre il sacro velo di Manoppello (Abruzzo) compare solo dal1506, senza spiegazioni sui suoi precedenti. Non manca qualche studioso che lo identifica con la Sindone di Torino.

 

 

Il «Santo Volto»

 

In Occidente una tradizione equivalente parla del <<Santo Volto», tradizione che la pietà cristiana ha divulgato attraverso la VI stazione della Via crucis: una pia donna asciuga col suo velo dal sudore e dal sangue il volto di Gesù che sta salendo al Calvario, e la sua immagine si imprime su questo velo. Alla donna è attribuito il nome di <<Veronica», che viene interpretato, secondo una falsa etimologia, con <<Vera Icona», mentre è la traslitterazione latina del greco macedone Berenice (colei che porta la Vittoria), nome che negliAtti apocrifi di Pilato (meglio, Ciclo di Pilato, secolo II-III) è attribuito alla donna che soffre di perdite di sangue di cui parlano (anonimamente) i vangeli di Matteo (9,20-22); Marco (5,25-34 ); Luca 8,43-48), e che è guarita toccando il mantello (stessa radice di mandilion), di Gesù. Il Santo Volto, cioè il velo della Veronica, è oggetto di una grandissima venerazione in Occidente. All'inizio del 1300 Dante, per esprimere l'attesa della sua visione mistica della <<candida rosa» dei beati, dopo essersi separato dalla sua guida Beatrice (Paradiso XXXI, 103-108) si paragona a <<. .. colui che forse di Croazia/ viene a veder la Veronica nostra/ che per l'antica fame non sen sazia,/ ma dice nel pensier, fin che si mostra:/"Segnor mio Iesu Cristo, Dio verace, /or fu sì fatta la sembianza vostra?''>>. Una generazione più tardi, Francesco Petrarca, nel sonetto XVI del Canzoniere, cita un <<Vecchi ere l canuto e biancO>> che intraprende, lasciando tutto, famiglia compresa, un pellegrinaggio <<et viene a Roma, seguendo 'l desio,/ per mirar la sembianza di colui/ ch'ancor lassu nel ciel vedere spera>>. Anche qui si tratta del velo della Veronica, venerato a Roma, al tempo nella chiesa di San Silvestro in Capi te, e poi, dal1870, depositata in Vaticano. Anche questa Veronica, veneratissima, ebbe molte riproduzioni, diffuse in tutta Europa e soprattutto nella Germania del XV secolo, ma molto diverse tra loro, a causa della difficoltà di accedere all'originale; sembra comunque predominante la tipologia del Cristo sofferente.


L'immagine

 

La tipologia iconografica del Cristo acheiropoietos ci mostra solo il viso del Salvatore, circondato dal panneggiodi un asciugatoio, senza il collo né le spalle, incorniciato da lunghi capelli, che scendono in riccioli da entrambi i lati. La barba è talora unita, a punta, talora divisa in due. I tratti regolari del viso sono resi in modo schematico: la bella linea della bocca senza nulla di carnale; la forma del naso, allungata e molto stretta; le sopracciglia arcuate. L'espressione seria e impassibile del viso del Dio Uomo non ha nulla dell'impassibilità e indifferenza verso il mondo umano che si trova spesso nelle immagini religiose dell'Estremo Oriente. Qyi è l'impassibilità di una natura assolutamente umana, che esclude il peccato, ma rimane aperta a tutte le tristezze di un mondo caduto. Gli occhi dilatati, rivolti verso lo spettatore, hanno uno sguardo attento e triste che sembra penetrare nella profondità delle coscienze, senza sopraffarle: Cristo è venuto nel mondo non per condannare, ma per salvare (Giovanni 3,17). Nell'aureola che circonda il capo di Gesù è inscritta la croce. Qyesta aureola con la croce si trova in tutte le immagini del Salvatore; le lettere greche nei tre bracci della croce formano il nome divino rivelato a Mosè: o oon, <<colui che è>> (Esodo 3,14), il tetragramma non pronunciabile JHWH, che appartiene alla natura divina di Cristo. Icone del Salvatore acheiropoietos sono state certamente numerose a Bisanzio sin dall'inizio del VI secolo, ed ancor più dopo il trasferimento del mandilion da Edessa alla capitale dell'Impero, nel944. Tuttavia i migliori esemplari di questo tipo che possediamo sono dovute all'arte iconografica russa. Una delle più antiche è l'icona della Cattedrale della Dormizione nel Cremino di Mosca (XII secolo), dipinta in forme monumentali. Piccolissima invece, al limite della miniatura, l'icona della stupenda serie di Novgorod (si tratta di un menologio di tavolette dipinte sui due lati, di fattura straordinaria, risalenti al XVI secolo), qui riprodotta.