Il buon samaritano (Lc 10,25-37)
La nota e suggestiva parabola del Buon Samaritano può essere analizzata strutturandola in quattro quadri, nei quali Gesù applica il principio ingannatore della parabola, spingendo l’uditore ad esprimete la sentenza morale sul protagonista, quindi autocondannandosi.
Primo quadro: l’uomo in cammino.
Varie parabole di Luca si aprono con “un uomo…” ad indicare l’uomo qualunque e la circostanza particolare in cui qualsiasi persona potrebbe trovarsi.
La seconda indicazione è di luogo, ovvero la strada tuttora pericolosa che dai 720 metri di altezza di Gerusalemme scende per 35 km verso i 260 metri di Gerico. È una strada rocciosa e già da allora imperversata da brigati che saccheggiavano i commercianti diretti a Gerico che a quel tempo era la città capitalistica degli affari.
Secondo quadro: l’uomo aggredito.
Dalla città santa alla città del capitale, un giudeo, quindi un pio “ortodosso” del giudaismo di allora, incappa nei briganti e diviene in questo modo il prossimo che Gesù con cui Gesù intende rispondere alla provocazione iniziale del dottore delle legge. È interessante notare i particolari dell’aggressione, dalla violenza iniziale alla spogliazione, fino alle percosse e l’abbandono in gravi condizioni.
Ancora più interessante è considerare l’inimicizia storica tra giudei e samaritani che per antiche questioni politiche e religiose, li rendeva ormai nemici.
Terzo quadro: l’uomo abbandonato.
Le leggi di purità giudaiche al tempo di Gesù, imponevano sette giorni di purificazione e la sospensione dagli incarichi al tempio nel caso di contatto con un cadavere, così doveva infatti apparire il povero giudeo. L’atteggiamento del sacerdote e del leviti non è pertanto da condannare per l’indifferenza, quanto per la sottomissione dei diritti umani al puro legalismo ed è la precisa situazione in cui si trovava il dottore uditore di questa parabola.
Con il verbo antiparerchomai: “passare davanti”, Gesù esprime la paura sociale e religiosa, cause dell’abbandono del giudeo.
Quarto quadro: l’uomo amato.
Mentre il sacerdote ed il levita “passano”, il samaritano è “in viaggio”. È anche lui l’uomo qualunque che lungo il suo cammino si imbatte in una situazione di necessità ed il suo intervento è espresso dal verbo splanghnizomai che indica il movimento interiore e viscerale dell’amore, usato anche per descrivere l’atteggiamento del Padre Misericordioso (Lc 15,20) e di Gesù stesso che si commuove davanti alla folla, vedendola come “pecore senza pastore” (Mt 9,36).
Il sacerdote ed il levita “vedono” ma il samaritano “passa accanto”, sono le sottili indicazioni con cui la brillante retorica di Gesù condanna e loda i due atteggiamenti contrastanti, mentre fornisce il dettaglio delle azioni del samaritano samaritano che esprimono la “progettualità” dell’amore. “Si avvicina”, “fascia con olio e vino” che erano la cassetta medica da viaggio in quel tempo quando il vino era anche un disinfettante e l’olio un lenitivo del dolore. Carica il malcapitato sul suo giumento, lo porta alla locanda, paga per lui due denari che equivaleva alla paga di due giorni di lavoro di un bracciante e così manifesta un amore che non si ferma all’elemosina dell’immediato ma si fa realmente carico di un disagio.
La parabola si chiude con il ribaltamento di prospettiva che Gesù opera nei confronti della domanda iniziale del dottore. Mentre questi poneva la domanda sull’ottenimento della vita eterna, Gesù risponde con la prospettiva dell’amore e quando il dottore, “volendo giustificarsi”, quindi cercando di mantenere il suo stato di giustizia, chiede “chi è il mio prossimo?”, Gesù risponde spostando l’attenzione dall’oggetto “prossimo” al soggetto che “si fa prossimo”.
Il dottore della legge conosceva bene il kerigma profetico “amore voglio e non sacrifici” (Os 6,6) ad indicare la prevalenza dell’amore sulle restrizioni legalistiche e si trova ora a giudicare un samaritano, ritenuto “pagano” che paradossalmente ha colto il significato di quella espressione. Quando Gesù gli chiede di giudicare in merito, questi indica positivamente l’atteggiamento del samaritano che “ha avuto compassione di lui” e con questa scelta inconsapevolmente condanna il proprio legalismo. Gesù può ora facilmente rivolgere il suo appello finale: “va’ e anche tu fa’ lo stesso”.
di Ferrario Fabio