Guarigione di un sordomuto (Mc 7,31-37)
“Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Inizia con queste parole la graduale catechesi proposta dall’evangelista Marco, di riconoscimento di Gesù come il Cristo ed il Figlio di Dio.
Il cammino trova tuttavia ostacoli non solo da parte giudaica, nelle frequenti diatribe con i farisei, ma anche tra i discepoli la strada non è sempre appianata.
Sul piano geografico e storico è difficile ipotizzare il percorso tratteggiato da Marco e la citazione Tiro e Sidone si presta pertanto ad una rilettura teologica per indicare il territorio pagano, come indicato anche dai profeti (Gl 3,3; Zc 9,2). Il messaggio va pertanto ricercato nell’apertura universalistica di Gesù che vuole superare i confini etnici e geografici dell’antico Israele, per portare anche ai pagani il suo Vangelo.
Sulla stessa linea va interpretata la condizione del sordo-muto, ovvero l’incapacità di ascoltare ed annunciare la Parola di Dio. Lo stesso termine greco mogilalos tradotto con “muto” indica il balbettio e la lingua impacciata che impedisce anche il dialogo della preghiera.
Sordomuto è pertanto sia chi non si è ancora aperto alla parola di Dio, sia chi, pur avendola incontrata, stenta ad ascoltarla ed annunciarla.
È da notare che il sordomuto non si reca spontaneamente da Gesù ma altri lo conducono da Lui, come avviene per il paralitico (Mc 2,3-4) e per il cieco (Mc 8,22). Con questa dinamica l’Evangelista propone il modello di comunità che conduce da Gesù in particolare chi non riesce a camminare per le sua vie, non ha occhi per riconoscere Dio e nel caso in esame non ha orecchie e lingua per accoglierLo e testimoniarLo.
I discepoli “pregano” Gesù affinché intervenga ed il verbo utilizzato parakaleo esprime nella sua etimologia la richiesta a Gesù di “venire accanto” al sofferente con l’imposizione della mano, immagine della trasmissione di energia ma anche di vicinanza e protezione.
Gesù si prende cura di lui, isolandolo dalla folla, descritta con il termine ‘oklos che indica la massa anonima e senza legami, opposta a laos che è invece il popolo con legami di appartenenza, fino ad essere il laos tou Theou, il popolo di Dio. Gesù stacca il sordomuto dall’anonimato di una folla che lo emargina ed in cui è impossibile avere un dialogo.
L’azione taumaturgica è svolta con copiosità di gesti che ricollocano l’uomo nella sua relazionalità e capacità comunicativa, requisiti fondamentali per la fede stessa.
Le dita inserite nelle orecchie sono il “dito di Dio” che rimuove gli ostacoli e trapassa le barriere dell’isolamento (Dt 9,10; Sal 8,4; Lc 11,20).
La saliva del primogenito aveva in quel tempo un potere terapeutico e apotropaico ed è quindi Gesù come Unigenito del Padre che ridona la sanità ed allontana le forze del male. È ciò che esce dalla bocca di Dio ad operare miracoli e riscattare l’umanità perduta.
Gesù guarda il cielo ed emette un sospiro. È il Figlio di Dio che si rivolge al Padre prima di “sospirare” lo Spirito Santo con la sua potenza risanatrice.
Gesù usa il gesto e la parola come canali della comunicazione umana per rimettere il sordomuto in contatto con il mondo e con Dio. Effatà è una parola aramaica, la lingua parlata da Gesù, è un imperativo rivolto non solo alle orecchie ma a tutto l’essere di quest’uomo, chiamato ad aprirsi ad una vita nuova nell’accoglienza e testimonianza della fede. La traduzione greca offerta da Marco è resa dal verbo dianoigo che significa più di “aprire” ed è traducibile con “spalancare”. È lo spesso verbo usato da Luca per descrivere gli occhi dei discepoli di Emmaus che si spalancano alla comprensione delle scritture spiegate dall’illustre Sconosciuto, nonché al riconoscimento della sua identità (Lc 24,31.32).
La pericope si chiude con l’ordine del segreto messianico, tuttavia disatteso. Nella logica redazionale di Marco è ancora presto per rivelare la messianicità di Gesù, evitando il fraintendimento politico ed una falsa proposta di fede mirata all’esaudimento dei desideri umani piuttosto che alla loro purificazione.
L’annuncio della gente è tuttavia aperto al riconoscimento del Dio Creatore “che fa bene ogni cosa” (Gen 1,31) e che in Gesù vuole rinnovare l’umanità con una palingenesi di conversione e di apertura al Mistero di Dio.
di Ferrario Fabio