Guarigione di un cieco (Gv 9,1-41)

 

Nella simbolica del Quarto Vangelo rientra il contrasto tra luce e tenebre, simbolo della salvezza piuttosto che della dannazione, dell’accoglienza di Dio piuttosto che il suo rifiuto.

È in questo quadro che si colloca il racconto di miracolo della guarigione del cieco nato, immagine del contrasto tra peccato e grazia, simboleggiati rispettivamente da tenebre e luce. Il racconto può essere strutturato in otto quadri, come segue.

 

1. Cecità e peccato (vv.1-5)

2. Le provocazioni dell’ “Inviato di Dio” (vv.6-7)

3. La reazione dei vicini (vv.8-13)

4. La reazione dei farisei (vv.14-17)

5. La reazione dei genitori (vv.18-23)

6. La sentenza dei farisei (vv.24-34)

7. La luce della fede nel cieco nato (vv.35-38)

8. Conclusione (vv.39-41)

 

Nel primo quadro troviamo l’abbattimento della vecchia teoria retribuzionistica che prevedeva il collegamento tra delitto commesso e castigo conseguente di Dio, una sorta di “azione-reazione” nel rapporto tra Dio e l’uomo. Tale teoria si estendeva anche alle generazioni successive, diventando quindi un debito ereditario da scontare presso Dio.

La cecità è presentata non come volontà di Dio ma opportunità per Lui di manifestare la potenza delle Sue opere. Per questo motivo Gesù è “io sono”, con evidente richiamo veterotestamentario e luce-salvezza del mondo.

 

Il secondo quadro presenta l’azione di Gesù ri-creatore che dalla Terra trae l’energia vitale per l’uomo. Con il comando “va’ a lavarti” Gesù si appella alla libertà dell’uomo quale fondamentale contributo alla sua azione salvifica.

Dopo la purificazione nella pisciona di Siloe, il cui etimo richiama la missione dell’ “inviato”, egli tornò che ci vedeva, dove il concetto di vedere è strettamente connesso a quello di conoscere.

 

Nel terzo quadro troviamo il primo interrogatorio a cui l’ex-cieco è sottoposto, quello della gente incredula che rifiuta il miracolo ad opera di un “uomo” che in quanto tale non poteva essere Dio.

Il miracolato compie qui il primo passo del cammino di fede e in “quell’uomo che si chiama Gesù” inizia a dare un nome a chi lo ha guarito.

 

Il quarto quadro comprende il secondo interrogatorio all’ex-cieco, ad opera dei farisei, gli esperti di Dio, da cui la gente manda quell’uomo. Questi pongono la questione sul piano giuridico, negando la divinità di Gesù in quanto opera di sabato. Qui il miracolato compie un secondo passo del suo cammino di fede quando riconosce che chi lo ha guarito è un “profeta”.

 

Il terzo interrogatorio è compreso nel quinto quadro, ad opera dei genitori del miracolato. Questi non ci fanno una bella figura in quanto prendono le distanze dal figlio, omettendone la difesa, per paura di essere scomunicati dai farisei, in seguito al riconoscimento del potere taumaturgico di Gesù.

 

Il sesto quadro presenta il quarto interrogatorio a cui nuovamente i farisei sottopongono l’ex-cieco, il quale, a differenza dei genitori, offre testimonianza a Gesù e per questo è “cacciato fuori”, quindi scomunicato.

 

Il cammino di fede dell’ex-cieco giunge a compimento nel settimo quadro. Gesù dapprima era un “uomo”, poi un “profeta” ed ora è il “Signore”. Davanti a lui il miracolato si prostra, in segno di riconoscimento di una presenza superiore e con il paralitico del miracolo precedente, divengono simbolo del popolo paralizzato ed accecato dall’antica legge opprimente che rendeva l’uomo continuamente in stato di peccato, quindi indegno di incontrare Dio.

Gesù interviene con potere liberante da ogni impedimento umano e “legale” che allontanava l’uomo da Dio, chiudendolo nella depressione della sua condizione di illegalità davanti all’antica Torah, al punto da ritenerlo continuamente bisognoso di sacrifici di espiazione ed offerte riparatorie.

 

Il racconto si chiude con il settimo quadro in cui Gesù attacca l’arroganza e la presunzione dei farisei nel ritenersi i veri vedenti e per questo sono in realtà i veri ciechi. È l’innocenza del cieco che salva, è il suo sguardo illuminato dalla grazia che gli permette di incontrare il vero Dio,  è la sua vera vista che lo ha salvato, permettendogli di rivolgere a Gesù la sua professione di fede con l’espressione “credo Signore”.

 

di Ferrario Fabio