LA RESURREZIONE DI LAZZARO (Gv 11,1-44)
Il Vangelo di Giovanni è tecnicamente definito con “Quarto Vangelo” in quanto non ne conosciamo con esattezza l’autore ma possiamo asserire che esce dalla comunità giovannea, fondata dell’apostolo Giovani. Esso presenta sette miracoli da intendersi come “segni” rivelatori di un aspetto specifico di Gesù.
Il racconto del miracolo di resurrezione di Lazzaro è suddiviso in tre scene, la prima è la constatazione della sua malattia (vv.1-6), la seconda è la scena della sua morte e sepoltura (vv.7-37) e la terza è quella della resurrezione operata da Gesù (vv.38-44).
La prima scena.
Il fatto avviene a Betania, un villaggio ai piedi del Monte degli Ulivi, a tre chilometri da Gerusalemme, dove Gesù gradì l’ospitalità di Marta e Maria. Il termine ebraico bet-ania significa “casa dei poveri” ed è il modello ideale di comunità cristiana, secondo la comunità giovannea. Anche il nome Lazzaro proviene da el-azar e significa “Dio aiuta” ed è l’atteggiamento del discepolo che si lascia aiutare da Dio. Tutto questo per rivelare che Gesù porta la vita alla comunità dei poveri e a coloro che credono in lui.
La risurrezione di Lazzaro è il settimo segno ed anticipa l’ora della glorificazione della Pasqua di Cristo, con la sua passione, morte e risurrezione. È il segno rivelatore di Gesù Signore della vita, come Egli stesso afferma "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa sia glorificato il Figlio di Dio!" (Gv 11,4).
La reazione di Tommaso rappresenta il sentimento dei discepoli, pronti a seguirlo fino alla morte ma esprime anche il collegamento tra la morte di Lazzaro e la morte di Gesù dalle quali la vita ne uscirà trionfante.
La seconda scena.
Sono passati quattro giorni da quando Lazzaro è morto, uno in più rispetto ai tre necessari per dichiarare effettivamente il decesso, nell’impossibilità di rianimazione. Questo per preparare il miracolo come il reale ritorno in vita di una persona riconosciuta come ormai morta.
Marta, Maria ed i farisei avevano già la fede nella resurrezione dei morti ma solo con rimando escatologico. Qui Gesù anticipa l’escaton rivelando che l’ora della salvezza inizia con il presente del suo ingresso messianico nella storia dell’umanità.
Ancora una volta notiamo la differenza di atteggiamento tra le sorelle Maria e Marta, mentre la prima ha un atteggiamento più spirituale e resta in casa a pregare, la seconda non esita a rimproverare Gesù per il suo ritardo nell’intervento, rivelando ancora una volta la sua fede infantile che Gesù stesso si farà carico di portare a maturazione.
Anche Maria manifesta a Gesù tutto il suo dolore per l’opportunità mancata di condurre Lazzaro alla guarigione dalla malattia e ciò provoca in Gesù la commozione ed il pianto sincero per la perdita dell’amico scomparso. Questo è il limite dell’umanità di Gesù di Nazaret di fronte alla morte: come per ogni uomo non resta che la resa del pianto e la ricerca di consolazione. Il passo successivo lo può compiere soltanto il Cristo di Dio come Signore della vita, capace di riportare la vita al mondo dei morti. Qui la stessa umanità di Gesù è superata dalla sua divinità con la manifestazione del suo potere taumaturgico.
La terza scena.
Più volte Gesù richiama Marta alla sincerità della fede in lui e nel suo potere di donare la vita, fino alla sua resistenza all’ordine di rimuovere la pietra di chiusura del sepolcro. Dopo l’esecuzione dell’ordine Gesù prega il Padre, colui che ascolta il grido del povero (Cfr. Es 2,24; 3,7) e da Lui invoca il segno rivelatore per l’educazione alla fede dei presenti.
La pietra viene rimossa ed inizia il collegamento tra morte e vita ad opera di Gesù, Lazzaro esce dal sepolcro ancora con le fasce attorno al suo corpo, retaggio ormai superato dei legami della morte e della stessa mancanza di fede nel potere vivificante di Gesù.
“Lazzaro, vieni fuori!” è l’ordine impartito da Gesù a gran voce; è il grido del trionfo della vita sulla morte; è l’urlo di vittoria sul campo di battaglia; è la sfida vinta da Gesù sull’inimicizia dei giudei presenti che lo detestavano; è l’insegnamento autorevole della Sua signoria; è la sconfitta eterna della morte, immagine del peccato, in favore della resurrezione, certezza e simbolo di salvezza.
di Ferrario Fabio