(Da K.R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, tr. it. di Renato Pavetto, a c. di Dario Antiseri, Roma, Armando, 1996, vol. II, pp. 319-325).
Karl R. POPPER (1902-1994)
Non c'è alcuna storia del genere umano, c'è soltanto un numero indefinito di storie dei diversi aspetti della vita umana. E una di esse è la storia del potere politico. Questa è elevata alla dignità di storia del mondo. Ma in questo caso si tratta, a mio giudizio, di una vera e propria offesa a una giusta concezione del genere umano. Non è per nulla meglio che considerare la storia della malversazione o del ladrocinio o del veneficio come se fosse la storia dell'umanità. Di fatti, la storia della politica di potere si identifica con la storia del crimine internazionale e dell'assassinio di massa (compresi, naturalmente, alcuni degli sforzi intesi a eliminarli entrambi). Questa storia è insegnata nelle scuole e alcuni dei più grandi criminali sono esaltati come suoi eroi.
Ma non esiste davvero qualcosa come una storia universale nel sen-so di una storia concreta del genere umano? Non esiste e non può esistere. Questa dev'essere, a mio giudizio, la risposta di ogni umanitario e soprattutto quella di ogni cristiano. Una storia concreta del genere umano, se ce ne potesse essere una, dovrebbe essere la storia di tutti gli uomini. Dovrebbe essere la storia di tutte le speranze, lotte e sofferenze umane. Infatti non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo. Evidentemente, questa storia concreta non può essere scritta. Dobbiamo procedere per astrazioni, dobbiamo trascurare, dobbiamo scegliere. Ma in questo modo, arriviamo alle molte storie e, fra esse, a quella storia del crimine internazionale e dell'assassinio di massa che è stata propagandata come la storia del genere umano.
Ma
perché è stata scelta proprio la storia del potere e non, per esempio, quella della religione o della poesia? Le ragioni sono molte. Una di esse è che il potere ci riguarda tutti, mentre la
poesia interessa soltanto a pochi. Un'altra è che gli uomini sono inclini a venerare il potere. Ma non c'è dubbio che il culto del potere è uno dei peggiori generi di idolatrie umane, un relitto
del tempo della gabbia, della servitù umana. Il culto del potere è figlio della paura, emozione che è giustamente disprezzata. Una terza ragione per cui la politica di potere è di. ventata il
nucleo centrale della “storia” è che quelli al potere pretendevano di essere venerati e potevano imporre la loro volontà. Molti storici scrissero sotto il controllo di imperatori, generali e
dittatori.
So
che queste mie idee incontreranno la più violenta opposizione da parte di molti; compresi alcuni apologeti del cristianesimo; infatti, benché non si trovi nulla nel Nuovo Testamento a sostegno di
questa dottrina, tuttavia si ritiene spesso che faccia parte del dogma cristiano l'idea che Dio si rivela nella storia; che la storia ha significato e che il suo significato è il fine ad essa
assegnato da Dio. Si sostiene, in questo modo, che lo storicismo è un elemento necessario della religione. Ma io dissento da questa visuale. lo sostengo che questa concezione è pura idolatria e
superstizione, non solo dal punto di vista di un razionalista o di un umanista, ma dallo stesso punto di vista cristiano.
Che cosa c'è dietro questo storicismo teistico? Con Hegel, esso guarda alla storia - alla storia politica - come a una scena o meglio come; ad una specie di lungo dramma scespiriano; e gli spettatori considerano o le “grandi personalità storiche” o il genere umano in astratto come gli eroi del dramma. Quindi chiedono: “Chi ha scritto questo dramma? E pensano di dare una pia risposta quando replicano: “Dio”. Ma si sbagliano. La loro risposta è pura bestemmia, perché il dramma (ed essi lo sanno benissimo) non è stato scritto da Dio ma dai professori di storia sotto il controllo di generali e dittatori.
Non nego che sia legittimo interpretare la storia da un punto di vista cristiano com'è legittimo interpretarla da qualunque altro punto di vista; e riconosco che si deve senz'altro tenere presente, per esempio, che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l'umanitarismo, la libertà, l'uguaglianza, li dobbiamo all'influsso del cristianesimo.
Ma, nello stesso tempo, bisogna anche tenere presente che il solo atteggiamento razionale e il solo atteggiamento cristiano anche nei confronti della storia della libertà è che siamo noi stessi responsabili di essa, allo stesso modo che siamo responsabili di ciò che facciamo delle nostre vite e che soltanto la nostra coscienza, e non il nostro successo mondano, può giudicarci. La teoria secondo la quale Dio rivela se stesso e il suo giudizio nella storia finisce con l'identificarsi con la teoria secondo la quale il successo mondano è l'ultimo giudice e l'ultima giustificazione delle nostre azioni; essa arriva alla stessa conclusione della dottrina secondo la quale la storia è il nostro giudice, o, in altri termini, che la forza futura è diritto; coincide in pratica con quello che abbiamo chiamato “futurismo morale”. Sostenere che Dio rivela se stesso in quella che normalmente si chiama “storia” nella storia del crimine internazionale e dell'assassinio in massa, è senz'altro blasfemo; infatti quanto effettivamente avviene nell'ambito delle vite umane non è mai neppure sfiorato da questa realtà crudele e nello stesso tempo puerile.
La vita dell'uomo singolo dimenticato, ignoto, le sue pene e le sue gioie, la sua sofferenza e la sua morte, questo è il contenuto effettivo dell'esperienza umana attraverso i secoli. Se tutto ciò potesse essere detto dalla storia, allora io certamente non direi che è bestemmia vedere in tutto ciò il dito di Dio. Ma una storia simile non esiste e non può esistere; e tutta la storia che esiste, la nostra storia dei grandi e dei potenti, è nel migliore dei casi una superficiale commedia; è l'opera buffa rappresentata dalle potenze che si celano dietro la realtà (simile all'opera buffa di Omero delle potenze olimpiche dietro la scena delle lotte umane). Ed è appunto questo che uno dei nostri istinti peggiori, il culto idolatrico del potere, del successo, ci ha spinto a ritenere reale.
E in questa “storia” non solo fatta, ma anche contraffatta dall'uomo, alcuni cristiani osano vedere la mano di Dio! Essi pretendono di comprendere e sapere che cosa Egli vuole quando attribuiscono a Lui le loro meschine interpretazioni storiche! “Al contrario, dice il teologo Barth, nel suo Credo, dobbiamo cominciare con l'ammettere [...] che tutto quello che pensiamo di sapere quando diciamo [Dio] non raggiunge né comprende Lui, ma sempre soltanto uno dei nostri idoli, fatti e concepiti da noi stessi, sia esso "spirito" o "natura", "fato" o "idea"”. (È in armonia con questo atteggiamento che il Barth definisce inammissibile la “dottrina neoprotestante della rivelazione di Dio nella storia” e la considera come un'usurpazio ne del “regale servigio di Cristo”).
Ma, dal punto di vista cristiano, tentativi siffatti non sono soltanto motivati dalla superbia: coloro che sostengono che la storia del successo dell'insegnamento cristiano rivela la volontà di Dio dovrebbero chiedersi se questo successo fu realmente un successo dello spirito del cristianesimo e se questo spirito non trionfò al tempo in cui la Chiesa era perseguitata, piuttosto che al tempo in cui la Chiesa era trionfante. Quale Chiesa impersonò puramente questo spirito: la Chiesa dei martiri o la Chiesa vittoriosa dell'inquisizione? [...]
Spero che non siano fraintesi né la mia affermazione che non si deve venerare il successo, che non si può fare di esso il nostro giudice e che non si deve lasciarsene abbagliare, né, soprattutto, i miei sforzi in. tesi a mostrare che in questo atteggiamento io concordo con quello che ritengo essere il vero insegnamento del cristianesimo. Non mi propongo affatto di schierarmi a difesa dell'atteggiamento di “distacco dal mondo”, che ho criticato nell'ultimo Capitolo. Io non so se il cristianesimo significhi distacco dal mondo, ma so per certo che esso insegna che il solo modo di dare prova della propria fede è quello di recare aiuto pratico (e mondano) a coloro che ne hanno bisogno.
Ed è certamente possibile combinare un atteggiamento di estremo riserbo e anche di disprezzo per il successo mondano nel senso del potere, della gloria e della ricchezza con lo sforzo di fare del proprio meglio in questo mondo e di perseguire i fini che si è deciso di far propri con il chiaro proposito di farli trionfare, non per amore del successo o della propria consacrazione da parte della storia, ma semplicemente per amore di essi.
Un energico sostegno ad alcune di queste concezioni e specialmente di quella relativa all'incompatibilità tra storicismo e cristianesimo, si trova nella critica di Kierkegaard a Hegel. Benché Kierkegaard non sia mai riuscito a liberarsi completamente dalla tradizione hegeliana nella quale era stato educato, credo che nessun altro abbia capito più chiaramente di lui che cosa effettivamente significasse lo storicismo hegeliano. “Ci furono - scrisse Kierkegaard - dei filosofi che tentarono, prima di Hegel, di spiegare [...] la storia. E la provvidenza poteva solo sorridere a vedere questi tentativi. Ma la provvidenza non si abbandonò al riso sfrenato, perché in essi c'era sincerità umana e onestà.
Ma Hegel! Qui ho bisogno del linguaggio di Omero. A quali scoppi di risa devono essersì abbandonati gli dei! Un così sgraziato professorino che pretende semplicemente di avere scoperto la necessità di ogni cosa e di tutte le cose che sono, ed ora eccolo intento a suonare tutta la sua musica nel suo organetto: ascoltate, dunque, o dei dell'Olimpo!”. E Kierkegaard continua, riferendosi all'attacco sferrato dall'ateo Schopenhauer contro l'apologeta cristiano Hegel: “La lettura di Schopenhauer mi ha dato una gioia così intensa che non posso interamente esprimerla.
Quello che dice è perfettamente vero ed egli è duro come sa esserlo soltanto un tedesco”. Ma le espressioni che usa Kierkegaard sono quasi altrettanto dure di quelle di Schopenhauer; infatti, Kierkegaard arriva a dire che l'hegelismo, che chiama “questo brillante spirito di putridità”,è la “più ripugnante di tutte le forme di libertinaggio”; e parla della sua “marcia pomposità”, della sua “sensualità intellettuale” e della sua “abominevole pompa corruttrice”.
E, in realtà, non solo la nostra educazione intellettuale, ma anche la nostra educazione etica è corrotta. Essa è pervertita dall'ammirazione per la forma brillante, per il modo in cui le cose sono dette, che prende il posto di una valutazione critica delle cose che vengono dette (e delle cose che vengono fatte). È pervertita dall'idea romantica dello splendore della scena della storia nella quale noi siamo gli attori. Noi siamo abituati ad operare tenendo d'occhio il pubblico.