Da J.G. Fichte, Sugli scopi della morte di Gesù, a c. di Marco Ravera, in “Filosofia e teologia”, 2 [1990], pp. 364-365
Johann Gottlieb FICHTE (1762-1814)
La morte di Gesù e la religione cristiana
1. In che cosa consiste l'essenza della religione cristiana? Nella convinzione dell'intelletto, ma convinzione calda e feconda che sgorga dal cuore, nella bontà e nella buona disposizione del cuore. – È una religione di anime buone. .
2. In qual modo si dovrebbe dar prova della verità del cristianesimo. a) Non con una dimostrazione stringente, facendo forza sull'intelletto. Con ciò si avrebbe una pura religione intellettuale, una scienza. Bisogna darne la prova nel modo giusto, cioè in modo che vi sia uno spazio per il cuore. b) Va raccomandata non per l'autorità esteriore né per un qualche scopo terreno, ma per la sua intrinseca bontà.
3. Questi scopi non avrebbero potuto essere raggiunti senza la morte di Gesù. O Gesù non poteva estirpare i pregiudizi da vivente, e convincere il mondo della sua missione divina e della verità della sua dottrina; e allora sarebbe stato lo stesso che egli fosse vissuto o che fosse morto, e la sua vita sarebbe stata vissuta invano per il suo scopo finale: oppure lo poteva. Se lo poteva - e non importa qui con quali mezzi -la sua dottrina era con ciò stesso istituita, trovando un immediato e universale consenso. Ma perché? Perché si riconosceva la verità della sua dottrina e i cuori e le menti ne venivano penetrati, o non piuttosto per compiacerlo dato che egli era il messia? Si sarebbe trattato allora, ancora una volta, di una religione professata, ma non del cristianesimo. Sarebbero stati costretti a dargli la loro adesione, in quanto convinti che egli era il messia; ma non sarebbero stati né illuminati né migliorati. Sarebbe divenuta una religione maomettana. E che cosa avrebbero intrapreso questi uomini in nulla mutati, una volta riuniti sotto un capo? Disordine e ribellione. Ne sarebbe sorta una monarchia, oppure sarebbe tramontata. .
4. Ci voleva la morte di Gesù per conseguire tali scopi. Egli non poteva allora attendere che la loro convinzione si facesse chiara come il giorno, e doveva abbandonarli al suo primo albeggiare. Doveva attendere che il suo vero essere si mostrasse, che l'attenzione gli venisse rivolta e che vi fossero elementi per dimostrare che egli era il messia: solo dopo avrebbe dovuto ritirarsi di scena. Non poteva fondare egli stesso la sua religione: doveva lasciare che fossero altri a fondarla. E come doveva avvenire questo commiato? Disparendo all'improvviso senza che alcuno lo sapesse? e come, e per dove? Ne sarebbero nate confusione e incertezza: tutto ciò ch'era stato raggiunto sarebbe caduto nel nulla. Oppure innalzarsi al cielo di fronte a tutti? Ciò certo avrebbe mostrato chiaramente la sua missione; ma, da una parte, tutti quei pregiudizi non erano ancora stati eliminati, la nazione giudea non era ancora sicura, i suoi seguaci non erano ancora penetrati dalla dottrina, e dall'altra una tal prova era troppo forte, eccessiva e contraria alla natura propria del convincimento cristiano.
Ma Gesù morì e resuscitò, pur non lasciandosi vedere pubblicamente, e solo allora uscì di scena; la sua dottrina era ormai provata: ma a) la prova non era inconfutabile. Richiedeva sforzo, meditazione personale, ricerca assidua e una certa bontà di cuore per comprenderla. E chi l'avesse compresa, e da essa penetrato avesse accettato quella religione, l'avrebbe accettata solo per se stessa, con una convinzione conforme a ragione. b) In tal modo vennero suscitati tutti i più dolci sentimenti del cuore: meraviglia, amore, dedizione, tenerezza, fiducia in Gesù ed alta considerazione per il suo carattere e per una religione istituita a sì caro prezzo. - Esempio dei giudei. (At 2,37) Con questa morte e con l'ammirazione per Gesù, i cristiani ricevettero il più alto esempio delle virtù che esprimono l'essenza del cristianesimo, abbandono alla volontà di Dio, pazienza, dolcezza, capacità di sacrificare se stessi per il bene comune, di amare i nemici e di guardare a fondo nel cuore degli uomini: virtù tutte che erano loro così indispensabili soprattutto nelle persecuzioni che dapprincipio dovettero sopportare. (lPt 2,20. d) La storia di Gesù fu prova e illustrazione di molte dottrine proprie del cristianesimo, delle particolari intenzioni di Dio e delle sue vie per realizzarle quaggiù, per il destino dei fedeli; resurrezione e immortalità, per essi così necessarie nelle loro situazioni individuali.
Gesù di Nazareth unigenito e primogenito Figlio di Dio
(Da J.G. Fichte, L'iniziazione alla vita beata, in id., La dottrina della religione, a c. di Giovanni Moretto, Napoli, Guida, 1989, pp. 317-319).
L'assolutamente vero e l'eternamente valido nell'introduzione al Vangelo di Giovanni giunge fin dove è arrivata la nostra spiegazione. Di là incomincia ciò che è valido soltanto per l'epoca di Gesù e della fondazione del cristianesimo, e per il necessario punto di vista di Gesù e dei suoi apostoli, cioè l'affermazione storica, e per nulla metafisica, secondo cui questa esistenza di Dio assolutamente immediata, il Sapere e Verbo eterno, puro e limpido, quale è in se stesso, senza alcuna mescolanza di oscurità o di tenebra, e senza alcuna limitazione individuale, ha fatto la sua comparsa nell'esistenza di una personalità sensibile e umana, in quel Gesù di Nazareth che si presentò come maestro in un'epoca determinata in Giudea, e le cui espressioni più notevoli sono qui ricordate, e nel quale, secondo la splendida formula dell'evangelista, il Verbo si è fatto carne. Così quindi stanno le cose per quanto riguarda sia la diversità che la coincidenza di questi due punti di vista, di quello assolutamente ed eternamente vero e di quello vero soltanto per il punto di vista del tempo di Gesù e dei suoi apostoli. Dal primo punto di vista, in tutti i tempi e in chiunque, senza eccezione, abbia una visione viva della propria unità con Dio e dedichi, realmente e veramente, l'intera propria vita individuale alla vita divina che è in lui, il Verbo eterno si fa carne, senza riserve e attenuazioni, esattamente allo stesso modo che in Gesù Cristo, diventa un'esistenza personale, sensibile e umana. - Questa verità così espressa, che parla soltanto della possibilità dell'essere, senza alcuna relazione al mezzo del divenire reale, non è negata né da Giovanni né dalle parole che questi attribuisce a Gesù; piuttosto, sia Giovanni che Gesù, la inculcano continuamente, come vedremo più avanti, nella maniera più energica possibile.
Il punto di vista esclusivamente proprio del cristianesimo, valido soltanto per i suoi seguaci, tiene conto del mezzo del divenire e al riguardo insegna quanto segue: Gesù di Nazareth è, assolutamente da sé e per sé, in virtù della sua sola esistenza e natura, del suo solo istinto, senz'arte deliberata e senza alcuna iniziazione, la perfetta rappresentazione sensibile del Verbo stesso, quale assolutamente nessuno lo è stato prima di lui; ma tutti quelli che diventarono suoi discepoli non lo erano ancora, appunto perché avevano bisogno di lui, ma dovettero diventarlo solo più tardi mediante lui. - Questo che abbiamo appena espresso con chiarezza è il dogma caratteristico del cristianesimo in quanto fenomeno del tempo, in quanto istituzione temporale per l'educazione religiosa degli uomini, un dogma al quale hanno senza dubbio creduto Gesù e i suoi apostoli: in maniera pura, schietta, e in un senso elevato nel Vangelo di Giovanni, per il quale Gesù di Nazareth è anche, certamente, il Cristo, colui che doveva arrecare all'umanità la felicità promessa, solo che per lui questo Cristo, a sua volta, è anche il Verbo divenuto carne: mescolato, invece, alle fantasticherie ebraiche su un Figlio di Davide, che deve abrogare l'antica alleanza e concluderne una nuova, in Paolo e negli altri.
Ovunque, e in maniera del tutto particolare in Giovanni, Gesù è il Primogenito e il Figlio Unico generato direttamente dal Padre, non in quanto emanazione o qualcosa di simile - sogni, questi, contrari alla ragione, che compariranno solo più tardi -, ma, nel senso spiegato più sopra, in eterna unità e uguaglianza di essenza: e tutti gli altri possono diventare figli di Dio soltanto indirettamente, in lui e trasformandosi nella sua essenza. Ci lascino anzitutto riconoscere questo, poiché altrimenti o, in parte, interpreteremmo slealmente o, in parte, non comprenderemmo per nulla il cristianesimo, ma da esso verremmo soltanto confusi. Ci lascino, poi, anche ammesso che personalmente non ne volessimo fare uso, cosa che deve essere lasciata alla libertà di ciascuno, esaminare e almeno giudicare con esattezza questo modo di vedere. A questo proposito ricordo, infatti, quanto segue: 1. In verità la comprensione dell'unità assoluta dell'esistenza umana e divina è la conoscenza più profonda che l'uomo possa raggiungere. Prima di Gesù essa non è esistita da nessuna parte; anzi, da quel tempo fino ai nostri giorni, si potrebbe dire che, almeno nel sapere profano, essa è stata di nuovo estirpata ed è andata perduta. Manifestamente però Gesù l'ha posseduta; così pure noi, appena avremo raggiunto questa conoscenza, la troveremo incontrovertibile, fosse pure soltanto nel Vangelo di Giovanni.
- Ora come è giunto Gesù a questa comprensione? Che qualcuno scopra di nuovo la verità dopo che essa è già stata scoperta, non è un grande miracolo; è invece un miracolo enorme il modo in cui la prima persona è pervenuta a questa verità, il cui possesso esclusivo la separa dai millenni che la precedettero e dai millenni che vennero dopo di essa. E così è dunque vero quanto afferma la prima parte del dogma cristiano, che cioè Gesù di Nazareth è l'unigenito e il primogenito figlio di Dio in un modo del tutto particolare, che non compete assolutamente a nessun altro al di fuori di lui, e che tutti i tempi, solo che siano in grado di comprenderlo, dovranno riconoscerlo come tale. 2. Benché sia vero che ognuno può ora ritrovare questa dottrina negli scritti dei suoi apostoli e riconoscerla come vera per se stessa e per convinzione personale; benché, come affermeremo più oltre, sia vero che il filosofo - per quanto sa - trova le medesime verità del tutto indipendentemente dal cristianesimo e le domina nella loro coerenza e con una chiarezza generale, nella quale, almeno per noi, non sono state trasmesse dal cristianesimo; resta comunque eternamente vero che noi, con tutta la nostra epoca e con tutte le nostre ricerche filosofiche, ci troviamo posti sul terreno del cristianesimo e siamo sorti da esso; che questo cristianesimo è intervenuto nei modi più diversi nella nostra intera educazione, e che noi tutti non saremmo assolutamente niente di quello che siamo se questo potente principio non ci avesse preceduto nel tempo. Noi non possiamo eliminare nessuna parte del nostro essere trasmessoci in eredità dagli avvenimenti anteriori; e nessuna persona intelligente si impegna nella ricerca di cosa ci sarebbe se non ci fosse quel che c'è. E, quindi, resta così indiscutibilmente vera pure la seconda parte del dogma cristiano, secondo cui tutti coloro che dopo Gesù sono giunti all'unione con Dio, vi sono giunti soltanto grazie a lui e mediante lui. E così, quindi, si conferma in tutti i modi possibili la prospettiva, secondo cui fino alla fine dei tempi tutti gli uomini intelligenti si inchineranno profondamente davanti a questo Gesù di Nazareth e tutti, quanto più saranno unicamente se stessi, tanto più umilmente riconosceranno la gloria sovrabbondante di questa grande apparizione.