Una poetica meditazione su Gesù nel Getsemani. Poi un modo estroso di applicare il più difficile dei precetti cristiani: l'amore dei nemici. Si tratta di un vicino rumoroso ed esasperante, ma per un temperamento nervoso come il grande scrittore tedesco (premio Nobel 1946) è un vero supplizio. Risulta allora quanto il precetto di Gesù sia non solo santo ma anche psicologicamente efficace e curativo.
HESSE HERMANN (1877-1962) Il Getsemani // Vangelo quotidiano
Il Getsemani
Se una qualche associazione di idee mi fa pensare a Gesù o il suo nome mi colpisce attraverso l'occhio o l'udito, a tutta prima non mi appare mai Gesù in croce o Gesù nel deserto o Gesù taumaturgo o Gesù risorto, ma lo vedo nell'attimo in cui, nell'orto del Getsemani, beve il calice della solitudine estrema, dove le doglie della morte imminente e di una più alta rinascita straziano il suo spirito, nell'atto in cui, spinto da un ultimo, infantile desiderio di conforto, volge lo sguardo verso i suoi discepoli, cercando, in mezzo alla sua solitudine sconsolata, un po' di calore e di vicinanza umana, una cara e fugace illusione: ma i discepoli dormono!
Sdraiati a terra, dormono, il buon Pietro, il bel Giovanni, tutti insieme, tutta quella brava gente sulla quale Gesù, con tanta buona volontà, non si stanca mai di amorosamente illudersi, cui confida i propri pensieri, una parte dei suoi pensieri, quasi intendessero la sua lingua, quasi fosse possibile rendere veramente partecipi costoro dei suoi pensieri, risvegliare in essi qualcosa di simile a una vibrazione congediate, trovare in essi qualcosa che assomigli alla comprensione, all'affinità, a una certa comunanza. E ora, in quest'attimo di insopportabile tormento, egli si volge verso questi compagni, gli unici ch'egli abbia, ed è così spalancato, così tutto uomo, così interamente sofferente che potrebbe sentirli più vicini che non mai in passato, trovate nella loro più sciocca parola, in un loro gesto anche solo un tantino affettuoso qualcosa che sapesse di consolazione e sollievo: ma no, non ci sono, stanno dormendo, russando. Questo atroce momento è profondamente impresso, in me, non so per che tramite, fin dalla mia prima fanciullezza, e, ripeto, se penso a Gesù, è sempre questo ricordo che per primo mi si affaccia immancabilmente al pensiero.
Vangelo quotidiano
Per semplice che sembrasse l'assunto, pure, era difficilissimo, e mi ci. è voluta davvero quasi tutta quella notte per risolverlo. Bisognava che trasformassi, che rielaborassi quell'olandese: da oggetto del mio odio, da fonte dei miei dolori doveva essere convertito, rifuso in oggetto del mio amore, del mio interesse, della mia simpatia e fraternità. Se ciò non mi riusciva, se non ce la facevo a produrre in me stesso i gradi di calore necessari per tale rifusione, allora ero perduto, l'olandese mi restava nel gozzo e io avrei continuato, per giorni e notti di seguito, a far vani sforzi per mandarla giù. Quel che dovevo fare non era altro che mettere in pratica il meraviglioso precetto “ Amate i vostri nemici”.
Ero abituato da un pezzo a considerare tutte queste frasi così stranamente convincenti del Nuovo Testamento non solo come imperativi morali, non come ordini, come “ Devi far questo ”, ma come cenni amichevoli di un vero saggio, che c'invita dicendo: “Prova un po' ad attuare alla lettera questo consiglio: vedrai come ti farà bene ”. Io sapevo che in questi detti c'è non solo il più alto vertice dell'esigenza morale, ma anche i più alti e intelligenti consigli di felicità spirituale e che tutta la dottrina della carità contenuta nel Nuovo Testamento, oltre gli altri suoi significati, ha pure quello di una tecnica psicologica elaborata alla perfezione. Nel mio caso era più che evidente, e il più giovane e inesperto degli psicanalisti non avrebbe potuto che confermarlo, che tra me e la mia liberazione non si frapponeva più altro che l'esigenza, ancora inattuata, di amare il mio nemico.
Ebbene, la cosa riuscì, l'olandese, non mi restò nel gozzo, ma venne rimodellato. Non fu certo facile, mi costò sudore e fatica, mi costò due o tre ore notturne di tensione fortissima. Ma poi ce la feci:
Se i detti del Nuovo Testamento non li consideriamo come comandamenti ma come espressione di una straordinaria, profondissima conoscenza dei misteri dell'animo umano, la cosa più saggia che sia mai stata detta il breve compendio di tutta l'arte di vivere e di essere felici, è la frase “ Ama il prossimo tuo come te stesso ”, che del resto si trova già nel Vecchio Testamento. Il prossimo lo si può amare meno di noi stessi: e allora si è l'egoista, l'arraffone, il capitalista, il borghese, e si possono accumular quattrini e potenza ma è impossibile avere un cuore veramente lieto, e ci restano precluse le più delicate e squisite gioie dell'anima. Oppure si può amare il prossimo più di se stessi: e allora si è un povero diavolo, pieno di complessi d'inferiorità, pieno di desiderio d'amare tutto, eppur colmo di rancore e di tormento contro se stesso e si vive in un inferno che ci si apparecchia ogni giorno da sé.
Che bellezza, invece, l’equilibrio dell’amore, la possibilità di amare senza essere in debito da una parte o dall'altra, quest'amore di se stessi che non ruba niente a nessuno, quest'amore per gli altri che però non diminuisce né violenta il nostro io! Il segreto di tutta la felicità, di tutta la beatitudine è racchiuso in quella parola. E se si vuole, la si può rigirare anche alla maniera indiana e darle il significato di: Ama il prossimo tuo, perché sei tu stesso!, una traduzione cristiana del “ tat twam asi ”. Tutta la saggezza è così semplice, ed è stata enunciata e formulata da tanto mai tempo e con così indubitabile precisione! Perché dunque ci appartiene solo a momenti, nelle giornate buone, e non sempre?