Nato a Verona ma educato in Germania, filosofo ed educatore, Romano Guardini - ordinato sacerdote nel 1911 - fu pensatore nel solco agostiniano-pascaliano. La sua opera ha avuto vasta eco, soprattutto nei circoli cattolici tedeschi. In queste pagine egli. esamina Cristo come espressione di scandalo.
GUARDINI ROMANO (1885-1968)
Ecco l'espressione dello scandalo.
Lo scandalo denota lo scoppio dell'irritazione umana contro Dio. Contro ciò che per eccellenza Dio è: contro la sua santità. Scandalo è la cupidigia contro la viva essenza di Dio. Nei meandri del cuore umano, accanto alla nostalgia dell'Eterna Fonte, onde la creatura proviene e nella quale soltanto è la pienezza di ogni bene, si annida pure l'opposizione contro lo stesso Iddio, la figura primordiale della colpa, e spia l'occasione. Di rado, per altro, lo scandalo erompe nudo e crudo sotto forma di sfida aperta contro la santità di Dio.
Per lo più si cela, prendendo di mira un 'uomo contrassegnato da quella santità: contro il profeta, contro l'apostolo, contro il santo, contro il pio di convinzione. Un uomo siffatto, non c'è dubbio, alletta. In noi vi è qualche cosa che non sopporta l'esistenza votata al santo: vi si ribella e va mendicando una giustificazione con le insufficienze umane palesi ad ogni momento. Una volta, con i suoi peccati: una creatura simile non avrà certo del santo! Una volta, con le sue debolezze che poi, nello sguardo bieco dell'avversione, crescono diabolicamente. Oppure con le sue stranezze: nulla di più stimolante delle stranezze del santo. In breve, colla pretesa che egli è uomo e che sta nella limitazione.
Ma l'incontro con la santità non è mai così insopportabile, mai così sottili le obbiezioni, mai così intollerante l'avversione come nella patria del profeta. Come ammettere che uno di cui si conoscono i genitori, che ci vive accanto, che non è poi diverso dagli altri, sia qualche cosa di santo? Un eletto quello lì, di cui si conoscono vita e miracoli? Lo scandalo è il grande avversario di Gesù. È per lo scandalo che essi non si aprono alla buona novella, non credono al Vangelo, si precludono il regno di Dio, insorgono contro di lui.
Il pericolo dello scandalo è vincolato alla stessa figura di Gesù. Quando Giovanni manda a lui dal carcere i suoi seguaci a domandare: “Sei tu colui che ha da venire o aspetteremo un altro? ” (Mt. XI, 3), egli risponde con lo stesso brano d'Isaia che a Nazareth commenta, e con lo stesso annunzio che il suo compimento è vicino: “Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati,. i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri si annunzia la buona novella ”. Poi aggiunge: “Ed è beato chi non si scandalizza in me ” (4-6). Che l'annunzio del regno di Dio, confermato per la virtù dello Spirito, venga dalla bocca di un uomo, - proprio questo provoca l'uomo con la violenza più raffinata, al punto da dirsi beato chi non vi inciampa.
Lo scandalo minaccia fin dalle prime parole del Signore. Prende, fuoco a Nazareth. Poi si attutisce, ma ben tosto risorge. Ogni volta che l'occasione si presta, riprende da capo. Finalmente l'incendio divampa alto, investendo anche Lui: è la rivolta del cuore umano contro colui che apporta la salvezza.
Dallo scandalo vengono le risorse che gli avversari di Gesù organizzano contro di lui. Come pretesto prendono quel che trovano: che guarisce in giorno di sabato, che siede a mensa con gente di malaffare, che non mena una vita ascetica, e chi più ne ha più ne metta. La vera causa non è però mai quella messa avanti, ma quella misteriosa incomprensibile eccitazione, con cui il cuore umano caduto nella colpa insorge contro la santità di Dio.
Nella pienezza dell'ora cade la domanda: “Non è costui il figlio di Giuseppe? ”. Matteo aggiunge: “Non è egli il figlio del legnaiolo? Sua madre non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E non sono tra noi tutte le sue sorelle? Donde mai son venute a costui tutte queste cose?”(Mt. XIII, 55-56). Qui Gesù costringe il nemico a farsi innanzi: dubitate di me? Voi obbiettate: lassù deve avere operato miracoli, perché là credevano; al contrario, voi non credete. E non credete, proprio perché io sono della vostra città. Avviene tra voi, con il Santo che vi muove incontro, come avvenne proprio con Elia ed Eliseo: i più vicini non prestarono fede e perdettero la grazia, che fu data agli stranieri!
A questo punto l'indignazione non si può più trattenere. Gli uomini, che un momento prima rendevano testimonianza alla forza e alla grazia delle sue parole, sono come in preda ad un parossismo. È Satana che li soggioga. Essi lo scacciano dalla sinagoga, lungo le strade della città, su verso il monte al quale essa si adagia, fino sul ciglio, per gettarlo di sotto.
Già qui si disvela quel che verrà. La croce è già presente. L'annunzio del regno di Dio, l'inesprimibile possibilità di un compimento infinito, trascendente ogni senso, è già posta in dubbio.
Pure “l'ora vostra e la potenza delle tenebre” (Lc. XXII, 53) non è ancora venuta. Da tutto il complesso emerge una prova dell'energia dello Spirito. Le realtà più potenti sono le più silenziose. È una prova della energia dello Spirito che Gesù, Egli, unico, fra le agitate masse di pellegrini convenuti da tutte le parti per il tempo pasquale, scacci dal tempio quanto deturpa la sua santità, senza che alcuno osi muovergli resistenza (Giov. II, 14-17). Ma ancor più potente si rivela lo Spirito quando la fiumana di gente, in tumulto per l'odio dei vicini, trascina fuori il Signore, e l'esaltazione aumenta, e tutto converge verso la liquidazione fatale, e a un tratto si dice: “Ma egli, passando in mezzo ad essi, se ne andò ”. Nessuna difesa. Nessuno sforzo. In mezzo allo schiamazzo indiavolato, l'inviolabilità dell'agile tacita libertà di ,Dio, contro la quale cade ogni potenza umana, mentre essa non può venire costretta da nulla, se non dalla sua propria ora.