Il drammaturgo di Processo a Gesù ha sempre considerato l'attualità del Cristo un fatto indiscutibile: un punto di riferimento obbligatorio sull'esame della coscienza individuale e sociale contemporanea. A tale presenza e fedeltà si richiamano queste pagine che seguono.
FABBRI DIEGO (1910-1980)
Vivere deve essere, anzitutto, un continuo atto di fedeltà a se stessi.
Il valore della mia vita - mia, inconfondibile sta nella personalità dei miei atti: nel mio inventarli, sceglierli, volerli così.
I miei atti sono solo la prova, ma anche la scoperta e la confessione del mio essere. (Noi non possiamo fare che quel che siamo).
E il mio essere è quel che ho di più prezioso e nello stesso tempo di più misterioso; è quel che sono originalmente, elementarmente, gratuitamente.
“ Mi hanno fatto cosi ”: ho da prenderne atto umilmente. (Non ho, ragionevolmente, la possibilità di ribellarmi. Dovrei aprire una polemica con la Creazione).
Per questo mio “ essere fatto cosi ” io stabilisco un rapporto personale col Creatore; e la contabilità dei “ talenti” ha inizio.
Prendere contatto col mio essere è prender contatto colla più immediata e intima determinazione di Dio, con l'immagine di Dio che più mi assomiglia: la più terribile e la più confidenziale.
Eppure da questa scoperta di me - e di Dio - io rifuggo con una incredibile tenacia. È un lavoro che mi affatica e mi rende pauroso.
Mi sento afferrato e tratto fuori dalla mia “giornata” terrena - storico - col suo tempo scandito da impegni e riposi, e inserito improvvisamente in un rapporto che ha l'assoluto e l'eroico quali termini a me contrapposti. Sento che resisto. Forse non voglio esser santo: mi oppongo alla chiamata.
La paura mi nasce dal vedermi fuori della “storia ”; dalla coscienza di portare me stesso non più verso questa o quella meta, “ storica ”, ma verso l'Assoluto. Sembra che senza il riparo e il sostegno delle “ pareti ” storiche io sia colto da capogiro, incapace a sostenere la responsabilità, il peso di me stesso di fronte a Dio.
E se questo è vivere, mi accorgo che ho paura di vivere. Fuggo, sono vile, mi sottraggo.
Vivere sarebbe invece avere la fantasia morale di inventare i propri atti e di assumerne coraggiosamente la responsabilità di fronte a Dio. I semplici e i santi. I santi.
Vivere
è il nostro inventare il presente senza mettere ostacoli alla invenzione del futuro (la “ terra promessa”).
Vivere
è scoprirsi, è diventare ogni giorno uomo-nuovo al cospetto di Dio (è costruire il “ Regno”).
Vivere è obliare la “ storia” per ubbidire veramente a noi e a Lui: per seguirlo. “ Abbandona il padre e la madre” ... “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti... ”).
La “storia” può tutt'al più insegnarci ciò che non dobbiamo più fare. Ed è qualcosa.
Ma vivere è inventare ciò che dobbiamo fare, noi, di mai fatto. È il nuovo - cioè l'imitazione di Cristo - che si concreta nel tempo.
La “storia” è l'asilo (la giustificazione) per le nostre fiacchezze (le epoche di decadenza e di servaggio si richiamano tutte alla “storia”).
Le risoluzioni prese col metro della storia sono facili, prevedibili, astute. Incoraggiano il lato politico dell'uomo, il meno buono, cioè, il più contingente.
Ho sentito dire con accorata enfasi qualche tempo fa a proposito di rinascita nazionale e di rinnovamento cristiano: “Costruiamo i nuovi edifici coi vecchi, ma sempre solidi materiali ”. Questa frase a effetto raccolse molti plausi; ma era sbagliata. Voleva essere un atto di stima nel lavoro del passato e una speranza per l'avvenire, ed era in sostanza una dichiarazione di paura e di svogliatezza pronunciata ad alta voce.
Coi vecchi materiali di demolizione non si fanno edifici nuovi, ma solamente vecchi edifici con nuovi intonaci e moderne imbiancature.
È un mascherare una sostanziale paura di vivere.
Nuovi edifici: ma a patto di inventare una nuova architettura.
Il coraggio di vivere è il coraggio di costruire per sé e per gli altri - nel tempo - le nuove case di Dio; è un liberarsi alla vita, non alla “vita storica ”, ma alla vita, semplicemente.
All'uomo politico, cioè “ storico ”, cioè “ materiale ”, non si può opporre un “uomo-politico-cristiano ”: bisogna opporre un “ uomo-cristiano ”, soltanto.
Il resto è dialettica storica; e rischia allora di aver ragione chi prevale. E chi prevale, su questo piano storico, non sarà mai 1'“ uomo-politico-cristiano”.
Paura di vivere è, insomma, paura d'essere cristiani - solamente -: d'essere strenuamente fedeli all'uomo e a Cristo. A Cristo che abolì la storia” contro tutti gli “uomini politici” che continuamente la ripristinano come la loro massima divinità.
Annunciamo la Buona Novella - schiettamente. Chiamiamo gli uomini al seguito del Dio sofferente.
Vedremo chi prevarrà! ”.
È la sfida che il Cristo lanciò dal legno della croce, e che rimbalza nel cuore di ogni uomo che si sveglia cristiano.
Il resto è compromesso.