Nella sua considerazione del personaggio Gesù, lo scrittore inglese parte dalla costatazione che nel mondo alcune cose vadano male e debbano e possano essere cambiate. Ecco nascere, nel suo caratteristico impasto fatto di lucidità mentale e umorismo, il Cristo rivoluzionario, il Cristo imprevedibile, il Cristo pieno di allegrezza.
CHESTERTON GILBERT KEITH (1874-1936)
Ci sono dei pensieri che, messi insieme, creano l'impressione che il Cristianesimo è qualche cosa di fiacco e di morboso. Primo, per esempio, che Gesù fu, una creatura delicata, timida e fuori del mondo, un puro inefficace appello al mondo; secondo, che il Cristianesimo sorse e fiori nelle oscure età dell'ignoranza e che a questo la Chiesa vorrebbe ricondurci; terzo, che la gente ancora profondamente religiosa o (se volete) superstiziosa - come gl'irlandesi - è debole, arretrata e priva di spirito pratico. Prendo queste idee solo per arrivare alla stessa affermazione: cioè che, dopo averle esaminate spregiudicatamente, ho trovato non che le conclusioni erano antifilosofiche, ma che i fatti non erano veri. Invece di cercare libri e pitture sul Nuovo Testamento, ho aperto il Nuovo Testamento e vi ho trovato non già la storia di una persona con i capelli divisi sulla fronte o con le mani congiunte in atto di preghiera, bensì di un essere straordinario dalle labbra tuonanti e dai gesti bruschi e decisi, che rovesciava tavole, cacciava demonii, e passava col selvaggio mistero del vento dall'isolamento della montagna ad una specie di paurosa demagogia; un essere che spesso agiva come un dio irato - e sempre come un dio.
Cristo
ha avuto anche uno stile letterario suo proprio che non trova riscontro, credo, in nessun altro, e che consiste nell'uso quasi furioso dell'a fortiori. I suoi “quanto più” si accavallano gli uni
sugli altri come castelli sulle nubi. La letteratura su Cristo è stata, e forse saggiamente, dolce e remissiva. Ma la parola di Cristo è stranamente gigantesca: piena di cammelli che saltano
attraverso le crune degli aghi e di montagne scaraventate nel mare. Anche moralmente è terrificante: Egli ha chiamato se stesso strumento di strage e ha detto agli uomini di comprare spade a
costo di vendere il vestito. Che, poi, Egli abbia usato anche più forti parole nel senso della non-resistenza, non fa che rendere più fitto il mistero; se mai, aggiunge piuttosto altra
violenza.
Né
possiamo spiegarci ciò, chiamandolo un essere anormale: la pazzia generalmente segue una linea coerente; il maniaco è generalmente un monomaniaco. Qui dobbiamo richiamare la difficile definizione
del Cristianesimo già data: il Cristianesimo è un paradosso sovrumano per cui due opposte passioni possono fiammeggiare accanto. La sola spiegazione del linguaggio del Vangelo che sia una
spiegazione, è che esso è la vista di uno che da un'altezza soprannaturale scruta una più sorprendente sintesi.
La gioia, che fu la piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano. Nel chiudere questo caotico volume, riapro lo strano libriccino da cui venne tutto il Cristianesimo; e di nuovo sono turbato da una specie di confermazione. La immensa figura che riempie i Vangeli s'innalza per questo rispetto, come per ogni altro, su tutti i pensa tori che si credettero grandi. Il Suo pathos fu naturale, quasi casuale. Gli storici antichi e moderni ebbero l'orgoglio di nascondere le loro lacrime. Egli non nascose mai le Sue lacrime. Egli le mostrò chiaramente sul Suo viso aperto.