Nel romanzo qui ripreso del grande scrittore (Lo sguardo di Gesù) Itamar è uno dei due indemoniati di Gerasa che Gesù risana. L'altro indemoniato guarito è il bestiale Masma. Invano Itamar chiede a Gesù di poterlo seguire: per un segreto motivo Gesù rifiuta, e Itamar si strugge da allora in cerca di uno sguardo, di una spiegazione da parte del maestro. Ma sotto la croce Itamar,ormai purificato da ogni scoria di egoismo, sarà degno di seguire Gesù, e non per le vie della Palestina, ma in paradiso. Sarà strumento di ciò Masma, ritrovato sul Calvario quando ormai, ladrone perseguitato per i suoi misfatti, lo si credeva morto.

 

BACCHELLI RICCARDO (1891-1986) da 'Lo sguardo di Gesù'

 

Che la dottrina di Gesù fosse d'una mente sana, non pareva neanche a lui. Eran precetti, pensava, che sfidavano la natura, proponendo all'uomo quello di cui essa è incapace e intollerante; sovvertivano il mondo, senza nemmeno, d'altronde, convincere che essi vi avrebber fondata una giustizia meno ingiusta di quella che v'intrattiene la forza con le sue passioni. Tendi l'altra guancia... - Itamar non era lontano da concordare col giudicato di Erode, che fosse una stravaganza. Bisognerebbe dire, pensava, non dare mai schiaffi. Ma poi, invece dei violenti sinceri, avremmo gli ipocriti vili.

Ma rivedeva Gesù seduto assorto nel nimbo misterioso di un'indicibile luce dello spirito, solitario e sublime in quel suo mite e pacato raccoglimento. Nuova ed antica, dallo sprofondo dell'animo, sorgeva la persuasione d'avere accolto nelle parole di quell'uomo un che d'inaudito e di nuovo al mondo, da che vi si eran pronunciate parole e fino a che vi si sarebbero pronunciate.

Riluttante, scandalizzata, disperata, la ragione poteva rifiutar loro l'accesso, non che l'assenso; ma esse si imponevano, non già per forza propria, ma della persona di quell'uomo Gesù, il quale colla sua presenza le rivelava nate coll'anima prima dell'origine dei tempi, e perenni, fino alla fine ed oltre, da sempre e per sempre. La ragione, al par del mondo, poteva ricusarle ed odiarle, ma doveva arrendersi a quel che v'era in esse, di là dalle parole medesime per se stesse.

E quel che nell'animo egli raccoglieva, col senso infinito emerso dalla presenza di Gesù apparito a lui e al mondo, in quei giorni numerati coevo coll'eternità dello spirito, Itamar lo riconosceva, per averlo provato intièro dal primo momento che l'aveva visto, in quell'unico sguardo: del Figliuol dell'Uomo nel dirgli miti parole di ripulsa e' di allontanamento. La violenza di quella mansuetudine, la forza di quella pace, la rapina di quella carità, eran tali, che l'animo gridava di spavento, come davanti all'infinito e all'eterno aperti in una dolcezza di felicità senza parole. Ne rifuggiva con indignazione, ma sapeva che questo era l'irrecusabile modo di ritrovarvisi; più forte della ragione indignata, era l'acquiescenza dell'anima al mistero d'una suprema pace contenta, in cui essa anima, ritrovando se stessa nel perdersi come nel mirifico gorgo della contemplazione, conosceva l'ultimo di sé medesima in una semplice gioia abbandonata e confidente.

Qualcosa di simile Itamar si ricordava d'aver trovato descritto nel greco contemplatore delle idee, in Platone; ma descritto; e in ciò stava l'incomparabile ed incolmabile differenza. Nel filosofo altissimo, la parola era pur sempre un velo, su cui la verità traluceva per nascosto splendore, per simboli e immagini. In questo santo di Nazaret, la parola era il corpo di luce della verità presente, che, della parola vestendosi, vi si rivelava, e rapiva lo spirito, e rinnovava l'anima. In Platone egli aveva viste le- ombre sul fondo della caverna; adesso aveva visto, in Gesù e nella sua parola, la luce che le generava. Quest'uomo Gesù non diceva la verità: era la verità incarnata in innocenza di spirito, in carità d'anima, perfette e viventi.

Che cosa ciò fosse, Itamar non sapeva; non aveva nome sufficiente a mostrarlo. Sapeva che né i profeti d'Israele né i filosofi di Grecia si potevano comparare a quel che nell'uomo di Nazaret era semplicità e umiltà e innocenza della verità da lui incarnata. Sapeva che quella sua carità era il verbo della verità di Dio.

Colui che la incarnava, aveva respinto lui, rifiutandolo: e Itamar cessò d'indignarsene. Allora, subitamente trasalì di una nuova gioia. Ravvisava in quel rifiuto, sancita, la propria incapacità a comprendere e a dare se stesso a quella verità rivelata e incarnata in un uomo; ne soffriva, ma smetteva di ribellarsi al rifiuto, smetteva di giudicarlo.

Comprendeva e sapeva che l'ardente desiderio e l'incorrotta e inoffuscabile nostalgia dell'anima sua per uno sguardo di quell'uomo, bastavano a colmar l'anima, a dargli di questa la cognizione intiera e il possesso. Intuì che fino a quando Gesù si rifiutasse a rendergli uno sguardo, la sua carità l'avrebbe obbligato a Itamar per forza ai pietà e misericordia. Tutto poteva costui, ma non esaurire, non consumare, non ultimare la carità in lui vivente, la quale Itamar rivedeva splendere nel ricordo, come l'aveva colta splendente nell'infinità del sorriso, nell'arcana solitudine in cui il mondo e l'uomo erano assunti è trasfigurati, in eterno, dalla vivente persona di Gesù.

- Ecco, - si disse con Davide peccatore, - ecco che l'anima mia chiamò dal profondo; e costui può bensì respingermi, ma mi ama.

Tormentoso, scarso, contraddetto :e contrariato era tutto quello ch'egli sapeva e sentiva e faceva di sé al mondo, fuor che l'umiltà e remissione della felicità incomprensibile e fuggitiva, che a baleni l'assicurava di non essere dimenticato da Gesù. Per quel poco ch'egli si sentiva d'essere, nella carità di Gesù sentiva la presenza di Dio nel mondo.

Per qualche tempo stette senza più cercarlo; e fu il tempo in cui gli avvenne d'incontrarlo più spesso e più facilmente.

Si fermava a distanza e in disparte, quanto bastava a vederne il viso e a sentir la voce e le parole. Si faceva riguardo e ritegno di perseguirne gli occhi e l'attenzione, per attrarne lo sguardo. Quel suo desiderio s'era purgato d'ogni avidità e passione, e s'avvicinava ad essere amore, nell'umiltà e nel pudore che gli ispirava. E tutte le parole che gli udì pronunciare in quei giorni, erano di pietà e di misericordia e di pace dello spirito. Tanto si adattavano al suo sentire, che parevano dette per lui non a lui, consolanti e pacificanti in quello stesso desiderio ch'esse aprivano, inesausto e inesauribile, nell'animo suo; e avrebbe potuto essere aspro ed amaro, sol che non fosse stato cosi semplice e dolce, umile che si sarebbe contentato d'uno sguardo; ma si contentava anche di non riceverlo, pur che gli fosse concesso di poterlo desiderare. In tale umiltà, Itamar sentiva un miracolo, si sentiva visitato e graziato: perché da se stesso, certamente, non gli veniva.

In tale foschia del tempo, la gente andava e veniva attorno alla sommità del Calvario, sotto le croci dei tre suppliziati di quel giorno. Si formavano e riformavano gruppetti e capannelli; qualcuno gridava al crocifisso di mezzo di scendere, di schiodarsi, di mostrare chi era, poiché aveva detto d'essere il Messia e il Figlio di Dio onnipotente. Ma lo scherno e l'ira cedevano sempre più, anch'essi, a una specie di stanca e logora soddisfazione, poi che insomma la fine di quell'uomo, per la gente, dava la prova logica, legale, sperimentata, che egli aveva mentito o s'era illuso, e aveva meritata la condanna.

Un poco in disparte, alcune donne piangevano; ed una non occorreva chiedere chi fosse, per ravvisar la madre dell'agonizzante. Fra quelle dolenti, Itamar riconobbe il giovine discepolo Giovanni, e gli chiese, passando, a bassa voce: - E adesso? - Cosi dicendo, additò Gesù sull'alta croce.

- Risorgerà, - rispose Giovanni, - e noi ch'egli ha chiamato a fondar la sua chiesa, i salvati dallo Spirito Santo, i credenti del Verbo, vivremo per la grazia del suo sacrificio, nell'eterna vita del regno di Dio.

A queste parole, Itamar fu ripreso d'un tratto dal suo immortale e inespiabile desiderio di rivedere lo sguardo di Gesù, ma l'impediva la vicinanza in cui si trovava e l'altezza della croce, che non gli consentivano di scorger il viso del crocifisso, se non di scorcio.

S'allontanò dunque- di qualche passo, frettolosamente, e udì la voce dell'agonizzante: - Padre, perdona, perché non sanno quel che fanno.

I soldati seduti attorno al piede della croce, giuocavano a sorte gli indumenti del giustiziato. La gente commentava, sempre più stancamente, le vicende dell'esecuzione; e Itamar senti dire, da uno di quei competenti della crudele materia, che se non venivano aiutati a morire, i condannati alla croce stentavano a volte anche più di dodici ore. Si senti straziare dal raccapriccio, benché non fosse una notizia che gli giungesse nuova. Fra l'altro, si ricordò d'alcuni, fra quei compagni di Masma ladrone ch'egli aveva crocifissi, i quali appunto avevano stentato più del credibile innanzi di morire. E un altro spettatore diceva: - Ecco, gli daranno, per ristorarlo, se ha sete, un po' d'aceto.

Mentre Itamar si voltava, ecco, Gesù non guardava né lui né alcun altro sulla terra, ma i suoi occhi splendevano di quella luce del divino, che Itamar vi aveva vista dal primo istante, e in questo più che mai.

Senza badare, il caso, o piuttosto la comunità del proposito e dell'atto, aveva fermato Itamar al fianco d'un uomo, che anche lui figgeva lo sguardo verso le croci. La luce fosca e in barlume, impedì a Itamar di ravvisarlo e d'esserne ravvisato.

Lassù il cartello dello scherno diceva nelle tre lingue: Gesù Nazareno, Re dei Giudei. E un capannello di scribi scontenti disputava, dicendo che Ponzio Pilato avrebbe dovuto correggerlo, scrivendoci: Gesù Nazareno che ha detto d'essere il Re dei Giudei.

Poi s'allontanarono anch'essi, e Itamar fissava la luce degli occhi moribondi, pregando fra sé senz'andarsene: - Gesù misericordioso,. abbi pietà della mia miseria d'uomo, Gesù, in questa e nell'altra vita.

Ma l'uomo fosco, che gli era vicino, bestemmiò a bassa voce, afferrando per un braccio Itamar, che gli chiese: - Che hai?

- Non vedi, - rispose colui, - non vedi il crocifisso di destra?

- Ebbene?

- Costui sta per tradirmi.

- E tu chi sei?

- Io sono venuto qui - rispose l'uomo senza rispondergli direttamente - per vedere come sanno morire cotesti due uomini.

- I due ladroni?

- Si, i miei ladroni, i miei due ladroni, i miei uomini. Ascolta e taci, o altrimenti ti freddo con una coltellata fra le costole. Io sono - continuò sfogando l'ira e la feroce iattanza - il loro capo e padrone; e tutti abbiamo giurato per Satana nostro dio protettore, di morire, se caschiamo fra le mani della giustizia, da uomini, come abbiamo vissuto, senza paure né pentimenti, senza debolezze. Sono venuto a veder come muoiono costoro; e ti so dire - soggiunse ridacchiando - che se la giustizia mi prendesse, farebbe festa: e c'è una taglia sul mio capo, da arricchire tre famiglie.

Guarda: quel di sinistra muore e bestemmia bravamente, e ha sfidato quel tale lì di mezzo; ha saputo dirgli: - Se tu fossi colui che dici, salveresti te e noi. - Ma l'altro cede: guarda come si torce sforzandosi di veder negli occhi cotesto Gesù! Oh maledetto, lo supplica, e ha già detto or ora al compagno: - Noi scontiamo le nostre colpe, ma questi è innocente. - Ti so dir io che se campa fino a notte, vado io a staccarlo, per dargli morte a modo mio, che cotesta gli avrà a sembrare di miele! Senti, senti... maledizione...

Il crocifisso di destra diceva: - Signore, ricordati di me nel tuo regno.

Itamar vide Gesù muover le labbra, ma non poté udire, perché il forsennato suo vicino bestemmiava e gli stringeva il braccio tanto da fargli male. Del resto, leggeva nel volto di Gesù ch'egli assolveva quel pentito. Disse allora con sdegno al vicino: - E tu lasciami! Ma che razza di uomo sei, sciagurato?

La stretta e lo sdegno e il poco lume gli avevano volta e accostata la faccia alla faccia di costui, che guatò, sussultò, soffiò e rise, scoppiando a dire: - Oh, oh, oh chi si vede! Vedo o stravedo o posso credere ai miei occhi? Questo mi compensa largamente della scioccheria di quel mio ladroncello vilmente pentito là in cima. Tu non credevi di rivedermi; tu credevi che fossi morto; t'ingannai con una falsa morte! Son vivo, son io...

- Sei tu, Masma?

- Son Masma. Assapora nel mio nome la morte, gustala tutta, gustala lentamente.

 

Ma: - Ho sete, - diceva in quel punto Gesù; e sotto la croce apprestavano in cima alla canna una spugna, con un po' d'aceto. La faccia mostrava che egli pativa. nel suo corpo la stretta dell'ultima agonia. Chiuse gli occhi, ma teneva ancor alta la testa. Sulle sue labbra Itamar credette di cogliere, imitandone il moto colle proprie, una parola. - È consumato, gli parve di veder pronunciare, e ripeté colle labbra di Gesù.

Intento daccapo tutto nel crocifisso, non che la stretta di Masma, nemmen l'odio più sentiva, né la minaccia, né la morte propria. Pregava per colui che pativa sulla croce l'ultima passione, per lui che soffriva: per sé non chiedeva niente, nemmeno uno sguardo.

E ciò che di Gesù agonizzava secondo natura, la sua parte d'umanità corporea, naturale, mortale, la parte di lui che stava per morire, a gran voce: - Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? - gridò.

Poi ci fu un silenzio, nel quale Itamar accolse nel cuore e nel sangue l'umana passione di quelle parole; e intanto travedeva la spugna dell'aceto alle labbra del moribondo, che l'assaporarono un poco. Itamar le vide muoversi ancora, in un soffio di voce, in un'ombra di sorriso, nei quali indovinò che raccomandava lo spirito al Padre. Poi chinò il capo.

E fu il grido della morte, quand'emise lo spirito, e si fecer le tenebre, e la terra tremò, e i sepolcri restituirono corpi e spettri di morti, e si ruppe il velo del tempio.

Ma quegli ch'era stato un tempo l'indemoniato delta riva gerasena, Itamar, nel sentire che gli fuggiva dagli occhi la luce e che la terra gli mancava sotto i piedi per le tenebre cadute sul mondo e per il terremoto che lo scuoteva, non dava più mente a Masma e alla feroce promessa dell'antico compagno. In quelle tenebre e in quella scossa, in quel grido supremo, accolse coscienza di morire insieme a Gesù, e non d'altro: salvo che sentiva un immenso sollievo nel dimettere per la prima volta del tutto dall' animo quel funesto e troppo fedele compagno della tristezza, quel segreto pensiero della disperazione: ch'era meglio non risanare, se la coscienza gli era stata restituita per sapersi perduto e riprovato e morto in ispirito.

E il grido della sua morte insegue sulla croce il grido di Gesù: grido di morte, ma di liberazione e di grazie, perché Itamar ha portato e patito l'ansia di quel funesto pensiero fino a consumarvi lo spirito suo.
Fido alla sua promessa, Masma, nelle tenebre, gli ha piantato il coltello fra le costole, passandolo da parte a

arte: e Itamar non sentì la ferita.

Senti soltanto che allora e solo allora era del tutto guarito, e ringraziò Gesù della grande misericordia, d'averlo guarito. E passò nel mistero di quell'ora e di sempre.